Storie comunitarie, Dj Giovy tra musica e il valore dell’interiorità: “Ho scelto di lasciare un segno”

Giovanni Spartano

“Ruffanese verace (Lecce), ma ormai marchigiano da 14 anni, ho collaborato come speaker Dj con radio famose quali Radio Ciccioriccio e Radio Azzurra”. Così Giovanni Spartano, alias Dj Giovy, si presentava qualche anno fa sulla piattaforma Spreaker, da dove poteva coltivare la sua grande passione per la radio e la musica raccontando con leggerezza e ironia il suo quotidiano e quello della struttura in cui vive, la Comunità di Capodarco di Fermo. Qui immerso nel verde della Villa con vista mare, Giovanni da ormai vent’anni trascorre le sue giornate seduto su quella che chiama il suo ‘studio mobile’ ed è quasi impossibile non notarlo negli ampi spazi della comunità con le immancabili cuffie sulle orecchie. “Ognuno ha delle passioni che lo rendono vivo – racconta- e per me la musica è tutto. Mi aiuta a vivere serenamente il presente ed è stata la compagna nei momenti più difficili della mia vita”. Proprio da questi, riavvolgendo il nastro dei ricordi, Giovanni vuole raccontare il percorso che l’ha portato a Capodarco tra mille difficoltà, paure ed emarginazioni. “In Puglia ho scelto con la mia famiglia di iscrivermi all’Istituto Tecnico Commerciale, non una scuola cosiddetta ‘speciale’ ma con ragazzi normodotati e nella quale non sono mancate le difficoltà per via di episodi di emarginazione e bullismo. A questi si è aggiunta la morte di mio padre che ha contribuito a deteriorare ulteriormente il mio stato psicofisico e dopo il diploma sono stati anni di buio, durante i quali facevo fatica a scorgere la luce in fondo al tunnel. Posso accettare il fatto di essere finito in carrozzina per uno sciopero dei dottori e perché mia madre non ha avuto l’assistenza adeguata nel parto, ma non quello di convivere con l’ignoranza e la cattiveria strutturata. Io credo molto nella funzione pedagogica dell’informazione e ritengo che se una società vuole evolvere deve farlo attraverso un cambiamento della cultura. Specialmente quando si parla di disabilità ci sono ancora troppi stereotipi e linguaggi errati che non generano nuova conoscenza, né nelle generazioni più giovani né all’interno delle istituzioni, ma portano ad un livello molto alto di ignoranza”.

“La mia isola felice”  

Nella fase finale dell’adolescenza Giovanni si trova quindi al primo bivio, l’esigenza di trovare un’occupazione compatibile con la sua disabilità e il desiderio di prendere in mano la sua vita sono stati la chiave di volta. “Tengo a precisare che nella scelta di vivere fuori dalla mia terra non hanno inciso le condizioni familiari” – racconta, “io stravedo per mia madre e per mia nonna, due donne coraggiose che mi sono sempre state accanto e lo sono tuttora. Ho vissuto in un contesto che mi ha sempre coccolato e non mi ha fatto mancare nulla. Sentivo però il bisogno di crescere al di fuori della mia zona di comfort. Ho trovato la mia isola felice nel momento in cui ho deciso di prendere in mano la mia vita. Mi sono detto: “serve una dose di coraggio per andare via da qui e sperimentare esperienze e dimensioni nuove”. Da qui la scoperta della Comunità di Capodarco, che Giovanni ha fatto da solo dopo qualche ricerca su internet. “Presi quasi per caso i primi contatti con questa realtà che oggi racconto con orgoglio. Il primo periodo in verità l’ho trascorso a Roma, ma l’esperienza non mi ha trasmesso quel qualcosa in più che mi aspettavo. Non credo esista il posto perfetto, la prima cosa che ho avvertito qui è la centralità della persona: chi si trova a Capodarco non è un problema da risolvere ma una risorsa da scoprire. Ognuno ha la possibilità di cucirsi addosso il pezzo di vita comunitaria che più gli si addice, è quello che ho fatto io perlomeno. Il fatto di poter essere te stesso a decidere con che tonalità dipingere la tua vita è l’aspetto che più mi piace qui, inoltre non crea false aspettative: io so bene che non camminerò mai più, ma ho potuto capire che una dimensione di felicità è possibile per un disabile. Per questo ringrazierò sempre don Vinicio e tutte le persone che lavorano a Capodarco, che hanno aiutato me ed altri a capire che la disabilità va raccontata nella maniera giusta, che ci sono possibilità per tutti”.

I primi vent’anni nelle Marche a Giovanni hanno regalato condivisioni, attimi di felicità, amicizie, confronti con l’esterno(spesso è invitato a raccontare agli studenti del territorio la sua storia), ma anche dei momenti durissimi che l’hanno toccato nel profondo come la scomparsa di una ragazza disabile alla quale era legatissimo. Per un periodo inoltre ha vissuto a Capodarco con uno dei suoi due fratelli, il gemello Giacomo, anche lui disabile: “Siamo opposti caratterialmente, con diverse peculiarità e aspettative, ma ci vogliamo molto bene. Così come con il più piccolo di casa, Matteo, che fa il pasticcere in Puglia”- chiosa Giovanni, che poi ci racconta della sua giornata tipo in quel di Capodarco. “Il mio quotidiano è semplice, la mattina potete trovarmi al centralino, due giorni a settimana invece ho le terapie che attendo sempre con trepidazione perché è un momento rigenerante. Un conto infatti è la dimensione comunitaria, un altro è il confronto con chi ti ascolta, con chi non ti giudica ma ti sa comprendere ed esaltare. Una di queste persone è la fisioterapista che mi segue, aldilà del suo ruolo professionale è un punto di riferimento fondamentale per il mio equilibrio. Il pomeriggio poi ascolto musica e quando posso vado a trovare una ragazza che ha svolto il Servizio civile in Comunità e di cui mi sono innamorato. Per me è una persona importante perché mi ha trasmesso il valore dell’interiorità a discapito di una società fondata solo sulla ricchezza”. Insomma una quotidianità che Giovanni cerca il più possibile di “affrontare controcorrente” perché -spiega- “trovo siano di grande tristezza i ritmi scanditi e la programmazione quasi frenetica della giornata a cui oggi siamo vincolati”.

Red Ronnie e l’essere ragazzo..

Come accennato, la più grande passione di Giovanni è la musica che oltre ad ascoltare per buona parte della giornata lo vede sovente interagire sul web con programmi, dirette, podcast ecc.. che segue direttamente dal suo smartphone. Per raccontarci un episodio in particolare al quale è molto affezionato parte da un concetto: “Io mi avvicino alle persone che mi comunicano e si mettono a disposizione, la predisposizione al dialogo è molto importante”- racconta. “Soprattutto mi piace chi non si erge su un piedistallo dall’alto della sua posizione, che sia lavorativa o sociale, ma dimostra umiltà e disponibilità. Io da tanti anni seguo Red Ronnie, mi piace la sua cultura musicale, il suo stile comunicativo e i messaggi positivi che veicola. Forse il suo essere diretto però viene visto male dalla massa, lui va oltre quello che Tv e mass media mostrano ed è infatti costretto a fare le dirette sul suo canale. Un giorno proprio durante una di queste, gli ho inviato un messaggio: “Ciao Red, sono Giovanni, un ragazzo disabile grande appassionato di musica che ti segue sempre dalle Marche”, non mi sarei mai aspettato una sua risposta in diretta, soprattutto così bella e sensibile, mi ha infatti detto: “Caro Giovanni, tu non sei un ragazzo disabile, sei un ragazzo!” Un messaggio che mi ha toccato molto. Red è una voce fuori dal coro come lo sono stato io: mi sono rimesso in gioco e sono andato via dalla mia terra. Ecco, mi piacerebbe che la società aprisse la mente e considerasse che ci sono persone che non cantano nel coro ma hanno un’interiorità che perlomeno ci può far riflettere. Siccome tutti vanno avanti come cavalli invece, questo credo non succederà mai”.

L’importanza di lasciare un segno.

Giovanni conclude il suo racconto lanciando degli spunti legati alla sua esperienza: “Ho fatto questo salto nel buio vent’anni fa e lo rifarei altre trecentomila volte”- conclude. “Io sarò sempre me stesso, le situazioni negative cerco di trasformarle anche se mi danno molta rabbia. Non potrò fare i cento metri di corsa ma posso lasciare il segno in qualche modo, mi dà gioia l’aver collaborato con delle radio e che questa passione per la musica sia rimasta intatta. Il messaggio che voglio lanciare è che ognuno può farcela, d’altronde ci sono riuscito io, con la carrozzina e tutte le avversità che ho avuto. A volte si inseguono cose futili come la moda del momento, quando basterebbe viaggiare e uscire dalle proprie dimensioni ristrette per conoscere persone che possono dimostrare che il mondo non è fatto solo di mode, ma di valori importanti da trasmettere. Nella disabilità c’è anche un positivo da cogliere ed essere disabili non per forza è stare male e vivere male” – conclude Giovanni prima di tornare al suo passatempo preferito, con la musica leggera che esce dalle sue inseparabili cuffie.