Minori, arrivano le linee di indirizzo per l’affidamento familiare e quelle per l’accoglienza nei servizi residenziali

Alla fine di un lavoro intenso durato diversi mesi il tavolo tecnico insediato presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha licenziato le linee di indirizzo nazionali per l’affidamento familiare e quelle per l’accoglienza nei servizi residenziali, approvate definitivamente lo scorso 8 febbraio dalla Conferenza Stato-Regioni. Un successo per le associazioni che hanno preso parte al tavolo accanto a rappresentanti dell’Anci, delle amministrazioni regionali e dello stesso ministero e che alcuni giorni fa, attraverso la Rete #5buoneragioni, hanno chiesto alle Regioni di ratificare al più presto le linee di indirizzo per superare l’attuale disuguaglianza regionale in materia di affido e accoglienza in comunità, questione che diventerebbe ancora più grave  con l’approvazione della cosiddetta Autonomia differenziata. “A differenza di quanto avvenuto negli anni scorsi, il tavolo ha lavorato unitariamente”, spiega Liviana Marelli, responsabile dell’area Minori del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca), una delle organizzazioni che hanno partecipato all’elaborazione dei due documenti. “In precedenza, infatti, le linee di indirizzo sul tema dell’affido e su quello delle comunità erano state prodotte rispettivamente nel 2012 e nel 2017. Questa volta, invece, il tavolo ha lavorato sull’intero sistema di accoglienza, puntando sulla complementarietà e non sulla contrapposizione tra comunità e affido. Ciò ci ha permesse di guardare, sulla base del principio di appropriatezza, a cosa è più utile in questa fase storica per i ragazzi e le loro famiglie di origine”. Di seguito le principali novità.

Coerenza con l’attuale quadro normativo

La struttura delle nuove linee di indirizzo è rimasta sostanzialmente immutata rispetto alle precedenti edizioni (motivazione, raccomandazione e azione), ma sono numerose le modifiche introdotte, a partire proprio dall’aggiornamento rispetto al mutato quadro normativo. “C’è una rivisitazione del testo per renderlo coerente rispetto ai cambiamenti normativi avvenuti negli ultimi anni”, commenta Marelli. Rispetto al passato sono, infatti, subentrate la legge 47/17 sulla nomina del tutore volontario e la rappresentanza legale dei minorenni, la legge 173 del 2015 sulla continuità degli affetti, il Codice del Terzo settore del 2017, che richiama il tema del volontariato, della cittadinanza attiva e della comunità locale, la legge 206/21 e il decreto legislativo 149/22 (la cosiddetta riforma Cartabia).

Prevenzione dell’istituzionalizzazione, adeguamento degli organici e obblighi formativi

Rispetto alle precedenti, le nuove linee di indirizzo pongono maggiormente l’accento sul sostegno alla famiglia di origine. “Oggi abbiamo la consapevolezza di come il programma Pippi per la prevenzione dell’istituzionalizzazione sia diventato Lep, ovvero Livello essenziale delle prestazioni”, chiarisce l’esperta. Contemporaneamente le linee contengono un richiamo alla necessità di adeguare gli organici dei servizi sociali. Anche in questo caso si tratta di un Lep, che prevede la presenza di un assistente sociale ogni 5.000 abitanti, 4.000 nelle situazioni di grave disagio sociale. “Insomma, le nuove linee riconnettono quanto è avvenuto in questi anni non solo sul piano normativo, ma anche su quello esperienziale e concettuale”, puntualizza. C’è poi quello che la responsabile Minori del Cnca definisce come obbligo formativo, che consiste nel garantire la presenza nei corsi di studio universitari triennali e magistrali per le professioni sociali di un nucleo minimo di contenuti interdisciplinari relativi alle linee di indirizzo su accoglienza e affidamento.

Comunità, appropriatezza e riunificazione familiare

Le linee di indirizzo 2024 presentano una maggiore enfasi sul tema dell’appropriatezza, ovvero la necessità di assicurare che il tipo di accoglienza scelto e la sua durata siano appropriati e tengano sempre conto delle esigenze di sicurezza e di continuità affettiva e relazionale del bambino rispetto a chi accoglie. “Grande attenzione è poi riservata al tema della riunificazione familiare, presente in entrambi i documenti – aggiunge Marelli –. Anche le comunità diventano opportunità di riattivazione delle competenze e di ripresa delle funzioni genitoriali. Perché se la comunità è un luogo vivo e vitale, come deve essere, in mancanza di impedimenti di altra natura, anche i genitori devono entrare a farne parte. Vedere riconosciuta una prassi già in uso in molte  comunità rappresenta un buon passo avanti e, al tempo stesso, il riconoscimento del percorso che il sistema di accoglienza ha fatto in questi anni”. Le linee di indirizzo fanno, inoltreriferimento alla piena partecipazione del bambino al suo progetto, tramite strumenti di ascolto e narrazione adattati all’età, al fine di prepararlo alla riunificazione familiare per sostenerlo in questa transizione. Ai minorenni vittime di violenza, direttamente subita o assistita, vanno invece garantite specifiche modalità di accoglienza residenziale con un approccio specializzato e multidisciplinare.

Affido familiare, reti sociali, autonomia

All’interno delle linee di indirizzo è previsto anche il riconoscimento esplicito dell’affido familiare quale evento di responsabilità individuale e collettiva, riconoscendo il ruolo delle associazioni, delle reti e della comunità locale, co-responsabile, insieme al sistema dei servizi sociali territoriali, della cura del bambino e della sua famiglia. In quest’ottica appare fondamentale la promozione del lavoro di rete con il sistema socio-sanitario per un’azione efficace che eviti frammentazione, sovrapposizioni e contrapposizioni favorendo, di contro, una progettazione unitaria che metta il bambino al centro. “Costituisce poi un passo avanti il rinforzo della centralità del progetto individuale oltre il 18esimo anno di età e, in qualche caso, anche fino al 25esimo” chiarisce Marelli. Quando il rientro in famiglia non risulta possibile o opportuno neppure al raggiungimento della maggiore età, è necessario poter proseguire l’affidamento per consentire il completamento dell’istruzione universitaria o professionale, in vista di un percorso più efficace verso l’autonomia. Un posto all’interno delle linee di indirizzo è riservato, poi, sia ai minori con disabilità che ai minori migranti non accompagnati, da tutelare nel primo caso soprattutto attraverso il coinvolgimento degli attori del territorio, delle strutture socio-sanitarie e riabilitative e dell’associazionismo e, nel secondo, attraverso la definizione di un progetto che veda il pieno coinvolgimento del minorenne migrante non accompagnato, dei tutor volontari e della famiglia affidataria. Viene, inoltre, introdotto il progetto di affidamento familiare nel caso degli orfani vittime di crimini domestici e la possibilità di attivare interventi di accoglienza di natura straordinaria, a fronte, come è accaduto dopo l’invasione russa in Ucraina, di minorenni stranieri in fuga da territori coinvolti in situazioni di conflitto, calamità naturali ed emergenze sanitarie.

Il pregiudizio nei confronti del sistema di accoglienza e il problema della carenza di dati

“Oggi c’è un pregiudizio forte nei confronti del sistema di accoglienza visto come incapace di svolgere il proprio ruolo, se non come responsabile di sottrarre i ragazzi alle famiglie – conclude Marelli –.  Ma vedere l’allontanamento come l’ultima spiaggia comporta, a volte, un ritardo di intervento con un conseguente danno per il minore, che avrebbe potuto essere in parte evitato. Oggi in comunità arrivano ragazzi molto grandi e molto compromessi, per cui la prima domanda che ci facciamo è: perché si è aspettato così tanto?”. Per contrastare questo pregiudizio – secondo la responsabile Minori del Cnca – occorre in primo luogo “restituire la verità delle cose”: chi sono i ragazzi accolti, quanto tempo trascorrono in comunità, quale è l’esito e quali sono i diritti di tutela e di protezione. “Purtroppo dati vecchi, vaghi, approssimativi e contraddittori come quelli che abbiamo aprono una voragine, anche nella comunicazione. Perché senza dati certi, ogni dato è valido. Se vogliamo davvero restituire dignità al lavoro di cura e al lavoro sociale di cui il sistema di accoglienza fa parte dobbiamo attivare un sistema di raccolta di dati serio e inconfutabile. Occorre una contro-narrazione: il sistema di accoglienza non ruba nulla, è un sistema di tutela e protezione”.

Fonte: Redattore Sociale

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