Silvia Romano è libera: “Un lampo di luce in questi mesi di chiusura”

“La notizia della liberazione di Silvia Romano mi ha toccato, è stato un lampo di luce in questi mesi di chiusura e di stravolgimenti nella nostra vita. Vederla sorridere, con quel sorriso che in questi mesi ci ha accompagnato attraverso le foto e che ogni tanto apparivano sui social o sui siti online”. Commenta così la liberazione della cooperante italiana rapita oltre un anno e mezzo fa in Kenya e liberata in Somalia, Riccardo Sollini, vicepresidente della Comunità di Capodarco di Fermo, da anni impegnata anche sul fronte internazionale (Ecuador, Camerun, Albania e Kosovo).

“Sembra stia bene e questa è una bella notizia. L’ho immaginata rientrare nella sua camera, rivedere il letto, riassaporare l’odore di casa. Così distante e diversa dai luoghi vissuti in questi mesi. Tra i villaggi somali, dove non esiste legge se non quella delle bande armate, che si contendono i pezzi di uno Stato in abbandono da tanti anni. Un bell’esempio di vita. Inutile dire che il suo rapimento ha toccato da vicino tutti coloro che un po’ di Africa l’hanno respirata. Chi si è trovato cooperante in paesi lontani, con la spinta a poter dare un piccolo, piccolissimo contributo di cambiamento”. Prosegue così il racconto del vicepresidente che dopo la laurea in Scienze Politiche e una tesi legata alla realtà etiope, ha lavorato per diversi anni in Africa.

Alla sua faccia ho sostituito il volto di tutte le ragazze e i ragazzi incontrati in questi anni. Di quanti hanno vissuto con coraggio le sfide di trasformazione, di sé e del mondo che li circonda. Non nego di avere pensato tante volte: ma se al suo posto ci fosse stato qualcuno che conosco?”. Quando parti non metti in conto il pericolo – spiega – , o meglio, sai che potenzialmente sei in luoghi pericolosi, in cui le differenze di percezione della vita sono all’ordine del giorno, ma quello che ti muove è la spinta a scoprire le differenze culturali, religiose, di prospettiva di vita, capire quanto gli occhiali con cui si guarda il mondo da una parte, possano essere così diversi dai nostri. E in questa ‘immersione’, può capitare di mettere da parte l’idea del pericolo.

“Mi sono chiesto anche se ne vale la pena e se la scelta di partire valga tutto questo, ho avuto dei dubbi. Ho pensato, e se mio figlio un giorno, decidesse di esplorare mondi lontani? Il sorriso di Silvia mi ha convinto. Ne vale sempre la pena. Il contatto con il mondo ‘altro’ fa scoprire mondi interiori. Ti permette di capire sempre di più, chi e come sei. Un puntino in un mare di anime lontane e perse”.

“Mi sono commosso all’idea della liberazione perché dall’altra parte ho immaginato la paura, il terrore della sera e del momento in cui persone incappucciate entrano nella tua stanza. Sei nelle mani di carcerieri che non hanno molto da perdere e in fondo, in paesi come la Somalia, la morte fa parte del quotidiano molto più che da noi. Forse, questi mesi di morti, qualcosa ci ha fatto assaporare. La fila delle bare a Bergamo sono una ferita per la nostra società, ma in questi paesi è la normalità. Silvia è stata venduta ad uno dei gruppi storici del terrorismo somalo, quelli che pirateggiano nel Golfo di Aden, vicini ad Al Qaida, per cui la vita di una persona vale il prezzo che se ne può pagare. Naturalmente la macchina del fango vola già alta e il tema diventa il costo della sua liberazione, senza mettere sul piatto il costo delle sue azioni quotidiane nell’orfanotrofio in cui lavorava, il famoso ‘aiutiamoli a casa loro’. Incredibile come non viene mai fatto lo stesso passaggio quando si paga un riscatto ad un soldato, ai costi di chi butta bombe in quei luoghi, o al business delle armi vendute. Bisognerebbe riprendere in mano un poco la storia”.

“Ma oggi vogliamo pensare solo al suo sorriso – conclude Riccardo Sollini – ai ringraziamenti, al suo togliersi la mascherina anti-Covid per sfoggiare tutta la gioia di vivere. Chissà se riuscirà a trovare sonno nella bella Milano, se l’abitudine di questi mesi nell’insicurezza dei giorni, le permetterà di vivere in una situazione di tutela e vicinanza umana. Un pensiero non posso non farlo all’Ong con cui Silvia è partita (la onlus marchigiana Africa Milele con sede a Fano, ndr). Mi sono immedesimato anche con chi quell’organizzazione la dirige e al senso di colpa che li ha accompagnati in questi mesi. Spero davvero che anche loro possano sorridere oggi”.