Lunedì scorso ho celebrato i funerali di mia cognata. Grande di età: negli ultimi dieci anni ha vissuto in un centro di assistenza, senza coscienza, sempre a letto, immobile per un degrado cerebrale. All’inizio, a mio fratello che andava a trovarla tutti i giorni, accennava a reazioni emotive con lo sguardo o un cenno di sorriso; nel tempo anche quelle piccole reazioni sono scomparse. Una donna figlia di un maresciallo dei carabinieri, vissuta con onestà, riservatezza, brava madre e brava moglie.
Celebrando i funerali ho ripensato al tempo del suo dolore e della sua solitudine, allontanata sempre più dalla realtà, in un mondo che non conosciamo, pieno di nebbia, con sprazzi di isolamento e di angoscia. Durante la celebrazione mi sono chiesto il perché di tanta sofferenza. Ho appellato all’agonia di Cristo, al suo grido di dolore e al suo affidarsi alla volontà di Dio. Non era la stessa condizione: egli lottava per la sua missione, disposto a pagare per rimanere fedele alla vocazione affidatagli. Anche i nostri nonni, di fronte alle tragedie, ripetevano «sia fatta la volontà di Dio». Risposte che non danno spiegazione ma che chiedono soltanto di accettare le condizioni che la natura riserva: a volte fortunate, a volte tragiche.
Forse è la dimostrazione dei limiti delle nostre vite: infinite nei pensieri e nei sentimenti, vissute in corpi fragili e deboli. Una contraddizione violenta tra il finito e l’infinito, tra il potere della mente e di cuori e la debolezza della “carne”. Non resta che vivere intensamente e saggiamente ciò che ci è donato, pronti a grandi altitudini, ma anche a bui precipizi. L’unica consolazione sono i ricordi: quelli sani, giusti, generosi. Per mia cognata ho scelto il brano delle beatitudini. Essere umili, miti, consolatori, giusti, misericordiosi, sinceri, pacifici, fedeli dona pace. E’ il piccolo lembo di cielo che ci consola.
La sofferenza vissuta è inutile, a volte è intrepretata come punizione, a volte come occasione di santità: la sofferenza è dannosa. Non può essere evitata per la limitatezza delle nostre esistenze. Non resta che attutirla per chiunque la subisca, soprattutto per le persone care, chiedendo a Dio di tenerla lontana e comunque di avere la forza di sopportarla.