Giornata salute mentale: schizofrenia, fra stigma sociale e disinformazione

Una delle malattie più diffuse al mondo e al tempo stesso più fraintese: una patologia che incide enormemente sulla vita delle persone che ne sono affette e che ha gravi conseguenze anche sulla rete di relazioni sociali, ad iniziare da familiari e amici. E’ la schizofrenia che, per la grave disabilità che comporta, è ritenuta il disturbo mentale più grave al mondo. Ne parla la Fondazione The Bridge in un documento, redatto mesi fa e presentato di recente: il Libro bianco sulla schizofrenia.

Il testo richiama una ricerca svolta dal Censis nel 2018, su un campione di 160 pazienti, da cui emerge come l’attività lavorativa dei malati sia stata largamente pregiudicata dall’insorgere della malattia. Dai dati si stima che quasi il 50% degli affetti ha dovuto lasciare il lavoro, mentre il 23,2% è stato costretto a cambiare attività lavorativa e il 16,2% ha ridotto drasticamente il tempo dedicato alla propria occupazione. A tutto ciò si aggiunge la precoce età media di comparsa della patologia che ha impedito al 33% dei malati di completare il proprio percorso d’istruzione.

Ma non è solo l’aspetto lavorativo o scolastico ad essere danneggiato dall’insorgere della malattia. Perdita del senso di sé, del proprio ruolo sociale e dei valori personali, sono solo alcuni disagi a corollario di un disturbo invalidante. Più della metà dei pazienti presi in esame dal Censis, dichiara di aver, in almeno un’occasione, nascosto ad altri la propria malattia. Di essersi vergognato della propria condizione e di essersi sentito discriminato. Tanto che all’insorgenza visibile e palpabile dei sintomi il senso di disagio e frustrazione l’ha portato a scegliere l’isolamento volontario.

Lo stigma sociale

Nonostante quasi il 60% dei pazienti intervistati dichiari di aver ricevuto attestati di solidarietà da parte dei propri cari e conoscenti, quello che emerge dai racconti è la paura dello stigma sociale. In psichiatria, la stigmatizzazione legata al disagio mentale è il prodotto di una serie di pregiudizi e stereotipi che portano di fatto a una forte discriminazione. Chi soffre di disturbi mentali si trova già inserito in una precisa categoria sociale con determinate caratteristiche predefinite che, come dimostra l’indagine del Censis, porta il malato di schizofrenia a un isolamento autoindotto, per tutelarsi dallo sguardo altrui.

Nello specifico, la World Psychiatric Association ha stilato un elenco di credenze e luoghi comuni maggiormente attribuiti agli schizofrenici. Tra queste, vi sono l’idea che le persone con schizofrenia siano violente e pericolose, che possano contagiare gli altri, che non siano capaci di decidere per la propria vita, che siano pigre, inaffidabili e con margini di guarigione praticamente inesistenti. Si tratta di pregiudizi forti che condizionano negativamente il ruolo sociale dei malati, visioni stereotipate di tipo socio-politico.

Il ruolo dei mass media

In questo senso, la stampa gioca un ruolo fondamentale. Nel tentativo di ridurre il rischio che il termine schizofrenia o schizofrenico finiscano per indicare qualunque tipo di comportamento contraddittorio o deviante, o qualsivoglia persona violenta o pericolosa, è stato redatto nel 2010 un Codice etico per i giornalisti e gli operatori dell’informazione, che ha preso il nome di Carta di Trieste.

Il Codice è nato in seguito a uno studio condotto sull’uso del termine “schizofrenia” sui quotidiani. È emerso che nei 22 quotidiani analizzati da gennaio a dicembre 2008, il lemma è stato usato 1087 volte, quasi sempre in maniera inappropriata. Nella maggior parte dei casi, il termine era associato a fatti di cronaca, omicidi e violenze di vario tipo; altre volte diventava metafora per descrivere persone violente o eventi caratterizzarti dall’imprevedibilità o dall’incoerenza, tanto che l’andamento stesso della Borsa veniva definito “schizofrenico”. Solo nel 20% dei casi il termine era usato in riferimento a persone a cui era stata diagnosticata la malattia. È palese come tutto questo gravi fortemente sul già ampio carico psichico che un paziente in cura per questa patologia deve sopportare.

L’impatto sui caregiver

Un carico, che nella fattispecie ricade sul nucleo familiare, principale caregiver del malato di schizofrenia. Secondo i dati Censis infatti, la gestione dell’assistenza è affidata quasi interamente al circuito familiare; un impegno particolarmente gravoso che si divide tra le ore dedicate all’assistenza (in media 12,26) e le ore impegnate nella compagnia e nella sorveglianza del paziente (12,83). Il carico di cura ha ricadute anche sulla qualità di vita dei caregiver, a cominciare dalla funzione assistenziale, flessibile e non programmabile, fino ai doveri lavorativi, rigidi e spesso non negoziabili.

I familiari sono un anello cruciale del percorso di cura della persona affetta da schizofrenia ma allo stesso tempo sono coloro che, assieme al soggetto, subiscono il peso delle ricadute personali e sociali della malattia; è sulla base di questo impatto personale e sociale che le richieste dei familiari, ma anche dei pazienti stessi, riguardo ai servizi si concentrano sul miglioramento del percorso di accompagnamento al reinserimento sociale e lavorativo degli assistiti, oltre che su interventi di formazione e sostegno alle attività di caregiver.

Gli interventi di recovery

Interventi che però, almeno al momento, sono quasi del tutto assenti. Manca infatti un percorso di recovery che conduca al reinserimento sociale delle persone affette da schizofrenia. Un’appropriata terapia farmacologica, unita agli interventi psicoterapeutici e psicosociali oggi disponibili, possono aiutare i pazienti a superare le barriere sociali legate alla malattia e a condurre una vita piena e soddisfacente, contribuendo a ridurre i rischi di una ricaduta. Ma nel rapporto Censis, gran parte degli intervistati, chiedeva un rafforzamento dei servizi riabilitativi funzionali al recupero occupazionale e alla socializzazione.

“I professionisti della salute mentale sono chiamati a implementare e diffondere interventi di comprovata efficacia contro la malattia”, dichiara Antonio Vita, Professore Ordinario di Psichiatria presso l’Università di Brescia e Direttore del Dipartimento Salute Mentale e Dipendenze (DSMD) che, con altri studiosi, ha curato la pubblicazione, lo scorso anno, de “Il libro bianco sulla schizofrenia”. “È forte la necessità di innovare, migliorandoli, gli interventi di cura farmacologici e psicosociali del disturbo schizofrenico, ma anche di migliorare gli stili di erogazione dei servizi, le modalità e i tempi di accesso alle cure”.

 

© Copyright Redattore Sociale