Frammenti di solitudine: confessioni d’amore (e di fuga) di un “figlio della Comunità”

“Era primavera e in Comunità c’era una qualche tipo di festa”

Un bambino di sei anni “non troppo estroverso” viene catapultato in una nuova realtà. Una grande struttura in cui vivono più persone (disabili e non). Si ritrova così a varcare la soglia della storica villa Piccolomini, la sede centrale della Comunità di Capodarco di Fermo, immersa in un bosco da cui si vede il mare. E’ qui che quel bambino cresce. “Ricordo carrozzine ovunque, delle persone in barella, tutti che giravano e qualcuno che mi parlava, credo di non aver risposto a nessuno”. Fresco di stampa “Frammenti di solitudine. Storie e pensieri di figli della Comunità di Capodarco” (Edizioni Pendragon, 2020) è il racconto di una vita “comunitaria”, la storia dell’autore, Riccardo Sollini e della sua infanzia, trascorsa all’interno di Capodarco, fino all’età adulta votata ad aiutare gli altri, anche in Paesi esteri.

Essere un bambino dentro la Comunità coincide con il fatto che all’improvviso diventi anche il nipote, il fratello, a volte il figlio di molte persone. Per questo i suoi ricordi diventano la memoria di molti. Sono vicende che inevitabilmente si intrecciano a tante altre, un resoconto a più voci,sostenuto dal contributo di alcuni “figli-fratelli di comunità” che si sono trovati a vivere in questo particolare contesto. Minori accolti perché provenienti da situazioni di disagio (personale o familiare); figli dei primi matrimoni tra disabili o, come lui, di giovani coppie che avevano fatto la scelta “comunitaria”, optando per un percorso diverso dal consueto, non convenzionale: quello dell’impegno in una famiglia allargata, dentro questa grande casa che, a partire dal 1966, aveva aperto le porte a una rivoluzione culturale (e concreta) sul mondo della disabilità. Non un libro di elogio o di critica- specifica l’autore- ma una raccolta di idee, vissuti ed emozioni di chi “non per propria scelta”, si è trovato a condividere spazi di vita comuni e “incontri con persone diverse”. Finendo a volte per sentirsi lui stesso “diverso”. Un’esperienza solitaria e di gruppo, tra voglia di fuga e senso profondo di responsabilità. Di legame. In cui il peso dei bisogni, è spostato quasi sempre “dalla parte di quello degli altri, di chi fa più fatica, di chi resta indietro”.

“Ho in testa questo libro da tanti anni, da quando ho iniziato a farmi due domande rispetto a chi sono e a quello che sento”…

Emerge dalle pagine la riflessione di un uomo che con tenerezza e maturità, ripercorre le tappe di una vita a doppio binario. Perché se da una parte vivere nella Comunità di Capodarco può essere un’opportunità unica, in uno spazio (soprattutto negli anni ’70 e ’80) in pieno fermento politico, sociale e culturale. Dall’altra, questa possibilità di continua relazione e interazione, può paradossalmente farti sprofondare in una dimensione di profonda e silenziosa ricerca interiore: “Mi sento un animale strano che ha necessità di stare in mezzo agli altri, ma che, allo stesso tempo, si sente in una costante situazione di solitudine, affetto da un vuoto dentro che non trova una risposta di completezza”. Ma chi sono gli “altri” e chi è un “figlio di comunità”? L’autore prova a spiegarselo così: “A oggi, se mi chiedo cosa significhi rapportarsi con lʼaltro, mi viene sempre da domandarmi chi sia realmente questo ‘altro’, o meglio, se ha senso soffermarsi sul significato di ‘altro’ come qualcuno di diverso in senso di ‘mancanza di qualcosa’”.

La pubblicazione esce in piena emergenza Covid-19. In un momento particolare per l’umanità e per il nostro Paese, mai come adesso ci si chiede se ha ancora peso la proposta di una vita condivisa. Con tutte le sue “storture e contraddizioni”, in un mondo in cui si innalzano muri di divisione e sono legittimate azioni e parole “che contrastano con il concetto stesso di vita”, un peso importante secondo l’autore ce l’ha ancora. Per ridimensionare bisogni e “scontrarsi” con il senso del limite. La vita comunitaria ti assorbe “nellʼamplificazione delle imperfezioni umane, in cui il contatto diretto con la diversità ti interroga rispetto a te stesso”. Sei protagonista e spettatore della tua stessa vita, per questo la scelta, non va mai fatta di pancia. Ma quello che ci puoi esperire- sottolinea- è anche la dimensione di una costante ricerca di senso, una “spinta dʼamore” che ti permette di superare i tuoi stessi limiti.

La storia di un uomo e di una “Comunità”

Il presidente della Comunità di Capodarco, Vinicio Albanesi, che questi ragazzi li ha visti crescere, partire e tornare, scrive nella sua introduzione al testo: “La sincerità delle testimonianze fa onore ai ‘figli della Comunità’, perché sono stati salvati il coraggio e la memoria. Possono continuare e implementare le prospettive che la storia comunitaria ha loro riservato, a noi spetta l’accompagnamento nel passaggio delle responsabilità”.

Quel ragazzino di sei anni oggi è un uomo ed è padre di tre bambini: Stefano, Tommaso e Matteo. A loro sono dedicate tutte le pagine del libro. Riccardo Sollini da adulto ha scelto di rimanere a vivere a Capodarco e di questa realtà – cresciuta anche lei negli anni, che si occupa non solo di disabilità, ma di minori, dipendenze patologiche e psichiatria – è oggi il vicepresidente. “Da quando sono diventato padre, gli interrogativi sul vivere in comunità e far sperimentare ai miei figli quello che ho vissuto io è diventata una domanda costante che mi porto dentro ancora oggi. Non mi rendo conto se dalle pagine scritte emerge il contrasto tra la felicità e la tristezza che pervadono la mia quotidianità, ma questo è il sentimento che sento in maniera costante”. Dedicato anche a chi ha saputo regalargli “i sorrisi più belli” è un libro corale, per intonare all’unisono la storia di un uomo e di tutta una “Comunità”.