Caso Giovannino: “La famiglia è ancora troppo sola”. Il commento di Fortuna D’Agostino

“Una persona in questi casi può dire ‘come si fa ad abbandonare un neonato?’, ma noi che viviamo certe situazioni sappiamo bene cosa c’è dietro, quali sono le emozioni di questi genitori, lo spavento, ma soprattutto la solitudine. La famiglia è ancora troppo sola e purtroppo le leggi, sebbene all’avanguardia, spesso restano solo sulla carta”. È questo il primo pensiero che viene in mente a Fortuna D’Agostino parlando del caso del piccolo Giovannino, il neonato con Ittiosi Arlecchino abbandonato dai propri genitori all’Ospedale Sant’Anna di Torino, dopo averlo voluto attraverso fecondazione eterologa. Una storia che sta commovendo l’intero paese e che ha già fatto scattare non solo il dibattito, ma anche una gara di solidarietà. Fortuna D’Agostino ne parla senza nascondere l’emozione. Con il marito Antonio dirige la Comunità di Capodarco di Teverola, una comunità di tipo familiare per l’accoglienza di minori in difficoltà in una villa del comune di Trentola Ducenta confiscata alla camorra. “In questo momento abbiamo 3 figli che vivono con me e Antonio. Poi abbiamo sei bimbi in accoglienza, ma nel diurno siamo aiutati da educatori”.
La storia di Giovannino, affetto da questa rara malattia che potrebbe avere anche complicazioni severe, fa riemergere dai ricordi di Fortuna le difficoltà e le conquiste vissute in prima persona. “Noi siamo una famiglia comunità – spiega -. Qualcuno ci definisce ‘famiglia speciale’ in quanto è una comunità che ha come perno la nostra famiglia. Abbiamo una bambina affetta da Aids e con un ritardo cognitivo e un’altra bambina di sette anni arrivata da noi a due mesi di vita con asfissia neonatale che non vede, non deambula e dobbiamo aiutarla nell’assunzione di cibo”.
È la “sordità istituzionale” a pesare di più, spiega Fortuna, che racconta l’arrivo in famiglia, nel 2015, della bambina affetta da Aids. “La ragazzina è venuta da noi a giugno dall’ospedale – racconta -. C’era andata a febbraio in fin di vita, è andata in coma ed è stata presa per i capelli. Una bambina di dieci anni e 16 chili. Frequentava la quinta elementare quando è arrivata da noi”. A colpire, però, è il silenzio in cui è cresciuta la bambina. “La sua disabilità era evidente, trascinava una gamba, era malnutrita. Una situazione molto forte – spiega Fortuna -: non leggeva e non scriveva, con un ritardo sì, ma che non doveva restare a quel livello. Quando si viene in contatto con queste storie abbiamo il dovere di denunciare”.
Dopo aver accolto la bambina, l’iscrizione a scuola non è stata una passeggiata: arriva il rifiuto della scuola e il consiglio da parte di un’ispettrice di farle fare l’apprendimento a distanza. La famiglia, quindi, decide di scrivere una lettera aperta all’allora ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini. Solo allora la situazione si sblocca. Oggi ha 15 anni e frequenta il Liceo e le porte chiuse in faccia sono solo un brutto ricordo. Ma i segni restano. “C’è stata un’assenza di ascolto da parte delle istituzioni. Un’assenza di sensibilità che ci ha fatto molto male, ci ha fatto arrabbiare e ci ha fatto denunciare e prendere posizione. Ci siamo ritrovati una società impaurita perché non conosce”.
Come se non bastasse, poi, “bisogna fare i conti con la burocrazia e le lungaggini – continua Fortuna – relative alla pensione e all’accompagno dell’Inps. La nostra bambina è stata dichiarata rivedibile tra quattro anni. Quando si tratta di disabilità irreversibili è una mortificazione e la legge non può avere queste falle. Quando ci sono queste situazioni siamo al paradosso. Cosa ci si aspetta, che arrivi il miracolo? Al dolore che una famiglia può vivere non va aggiunto altro dolore. Sono violenze istituzionali che possono essere evitate, perché siamo in uno stato di diritto”.
Difficoltà e ostacoli che non hanno fermato Fortuna e Antonio, così come altre famiglie a loro vicine. “Abbiamo altri esempi, come quello di un bambino con disabilità grave che cinque anni fa è andato in adozione – racconta Fortuna -.  Abbiamo trovato una bella famiglia che ha fatto i conti con quello che potevano dare a questo bimbo nato con il Citomegalovirus, per cui non cammina ancora nonostante ora abbia sette anni. Questa famiglia ha messo in conto la propria tarda età: entrambi hanno superato i 50 anni, ma loro dicono che è importante dare adesso una risposta ai bisogni di questo bambino. Un amore e una cura privilegiata che solo una famiglia può dare”. E al fianco di queste famiglie, continua Fortuna, occorre creare una “rete perché bisogna superare la solitudine”, aggiunge.
Senza un supporto è dura e le difficoltà sono tante, aggiunge Fortuna. “Ci siamo sempre posti questo problema: come fa un genitore proveniente da situazioni difficili?”. Per questo, conclude Fortuna, “ci deve essere una rete di riferimento importante, che sia la famiglia allargata, ma anche le varie agenzie. Ben vengano i gruppi di famiglie, di mutuo aiuto: esistono e funzionano,  promosse anche dalle parrocchie. E anche nei centri di riabilitazione dovrebbero essere previsti supporti alla genitorialità, perché si tratta di famiglie che possono scoppiare, che hanno dei rischi in più, dove se non si è forti si arriva alla separazione o alla depressione”.