Accadde oggi. 60 anni fa a Roma le prime Paralimpiadi

Quel giorno, ai campi di atletica dell’Acqua Acetosa a Roma, c’erano “400 invalidi di 22 diverse nazioni”, in rappresentanza di tutti e cinque i continenti. Sorrisi, abbracci e toni solenni sulla tribuna delle autorità, dove Carla Gronchi, moglie dell’allora presidente della Repubblica, assisteva alla sfilata delle delegazioni giunte da così tanti paesi e il ministro della Sanità in carica dichiarava ufficialmente aperta la manifestazione. In quel momento, mentre quella cerimonia di apertura aveva luogo, ciò che andava in scena erano i “Giochi internazionali per paraplegici”: era il 18 settembre 1960, esattamente sessanta anni fa. Oggi quei Giochi, che si sarebbero conclusi una settimana dopo, il 25 settembre, sono conosciuti in tutto il mondo come le prime Paralimpiadi della storia, quelle – appunto – di Roma ’60.

Paralimpiadi di Roma 1960 – La rappresentanza italiana(© Copyright Redattore Sociale)

Un riconoscimento avvenuto formalmente solo molti anni dopo, nel bel mezzo degli anni ’80, quando la denominazione “Paralympic Games” (Giochi Paralimpici), usata per identificare i Giochi disputati da persone con disabilità, fu ufficialmente approvata dal Cio, il Comitato Olimpico Internazionale. In quel ventennio, il movimento paralimpico – pur non essendo ancora arrivato a dotarsi di un ente sovranazionale di riferimento – aveva compiuto passi importanti, e si era pian piano fatta strada la scelta di affiancare stabilmente al tradizionale appuntamento dei Giochi Olimpici quello dei Giochi Paralimpici. Dunque, una Olimpiade parallela (questo il significato del prefisso “para”), una manifestazione equivalente alle Olimpiadi e dedicata specificatamente agli atleti con disabilità. Un binomio che nei decenni successivi è poi definitivamente esploso, come le cronache dei nostri tempi testimoniano in modo inoppugnabile.

A partire dall’edizione di Seul 1988, Olimpiadi e Paralimpiadi sono sempre andate a braccetto, con una distanza temporale di poche settimane l’una dall’altra: stessa città, stessi impianti sportivi, stesso villaggio per ospitare gli atleti, stesso comitato organizzatore. Un unico grande evento sportivo, che mette in risalto il meglio dello sport olimpico e subito dopo il meglio dello sport paralimpico. Un connubio felice destinato a proseguire, per il momento, almeno fino al 2032, secondo l’accordo di cooperazione attualmente in essere fra il Cio e l’Ipc (International Paralympic Committee), l’organizzazione internazionale non-profit costituita nel 1989 proprio con funzioni di governo e di coordinamento dello sport paralimpico mondiale. Nel breve volgere di qualche decennio, si è materializzata una rivoluzione sportiva ma soprattutto culturale imponente, che sessant’anni fa, all’epoca dei “Giochi per paraplegici” disputati a Roma, in pochi avrebbero potuto immaginare.

A Roma, appena una settimana prima di quel 18 settembre, allo Stadio Olimpico era andata in scena la cerimonia di chiusura dei Giochi Olimpici. Le leggendarie Olimpiadi di Roma ’60, quelle dello sconosciuto etiope Abebe Bikila che a piedi nudi taglia per primo il traguardo della maratona (la gara olimpica per eccellenza) sotto l’arco di Costantino. Le Olimpiadi dell’italiano Livio Berruti, primo europeo della storia a vincere l’oro sui 200 metri piani. Le Olimpiadi di un giovanissimo Cassius Clay, il futuro Muhammad Alì, che vince l’oro nel pugilato. Roma ’60 è un impegno organizzativo immane, un’intera comunità votata al sogno olimpico: la città eterna dà il meglio di sé e il risalto mediatico, grazie alle telecamere della Rai, è mondiale.

Spenta l’11 settembre 1960 l’eco del grande avvenimento, con ben più limitato clamore si mette in moto un’altra macchina. Sulla fiancata di quella vettura c’è una scritta: INAIL. Al volante ci sono due persone: i loro nomi sono Ludwig Guttmann e Antonio Maglio. Quello che succede quel 18 settembre 1960 ai campi di atletica dell’Acqua Acetosa lo si deve a loro.

Ludwig Guttmann, classe 1899, è un neurologo tedesco assai affermato quando allo scoppiare della seconda guerra mondiale si vede costretto – lui, di famiglia ebreo ortodossa – a rifugiarsi in Inghilterra. Il governo britannico, qualche anno più tardi, lo pone a capo dell’unità di ricerca sulle lesioni del midollo spinale, struttura situata presso l’ospedale di Stoke Mandeville, piccola località nei pressi di Londra. Qui vede giungere un gran numero di soldati che in combattimento hanno subito una lesione midollare, destinati, secondo la situazione sanitaria del tempo, a un futuro quanto mai difficile. Lui rivoluziona l’approccio medico, introduce la fisioterapia e, soprattutto, concepisce l’attività sportiva come parte essenziale della riabilitazione dei suoi pazienti. È la nascita ufficiale della “sport-terapia”, gli albori di quello che sarebbe diventato il movimento paralimpico. A guerra finita, nel 1948, anno che vede Londra ospitare i primi Giochi Olimpici del secondo dopoguerra, Guttmann concepisce i “Giochi di Stoke Mandeville”, gare sportive dedicate appunto ai reduci di guerra con lesioni midollari. La prima edizione è tutta fatta in casa: si disputa nel cortile dell’ospedale e i partecipanti sono appena 16, 14 uomini e 2 donne. Ma il suo è un approccio che funziona, dà risultati clinici innegabili e costituisce per i pazienti un formidabile strumento di cura, anche psicologica. Le gare si ripetono con cadenza quasi annuale, nel 1952 – con la partecipazione di alcuni veterani di guerra olandesi – i Giochi diventano “internazionali” e si ritagliano nell’ambiente della riabilitazione medica uno spazio di grande interesse. Anche l’Italia ha il suo medico pioniere delle terapie di riabilitazione. Il suo nome è Antonio Maglio, classe 1912. Nel secondo dopoguerra pure lui, come il collega tedesco poi naturalizzato britannico, assiste numerosi pazienti paraplegici e fin dal 1956 è il medico che accompagna ufficialmente la delegazione italiana che partecipa ai Giochi di Stoke Mandeville. I contatti fra Maglio e Guttmann sono stretti, gli scambi di conoscenze e tecniche riabilitative sono costanti. Maglio è un medico dell’Inail, l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro: i vertici affidano proprio a lui la gestione dell’attività del neonato Centro Paraplegici di Ostia “Villa Marina”, la cui attività prende il via nel giugno 1957. In avvio ci sono 38 pazienti e 100 posti letto: la struttura si rivela fin da subito, grazie anche alla professionalità dello staff, un’eccellenza del panorama nazionale e internazionale, nota per la capacità di recupero fisico e psichico dei pazienti. In pochi anni, Ostia diventerà la culla dello sport per disabili nel nostro paese: tra quelle mura nacquero i primi campioni paralimpici (anche se all’epoca non si chiamavano così), uomini e donne infortunati sul lavoro approdati sul litorale romano da tutte le regioni italiane.

Nel 1955 il Cio aveva assegnato alla città di Roma l’organizzazione dei Giochi OIimpici previsti cinque anni più tardi. Un’occasione ghiotta per una spirito ambizioso come quello di Antonio Maglio, che approfitta di un incontro del 1958 con Guttmann per lanciargli un’idea per quei tempi folle: lavorare per svolgere l’edizione dei Giochi di Stoke Mandeville prevista nel 1960 proprio a Roma: per la prima volta lontano da Londra, dunque, ma soprattutto nella stessa città che avrebbe ospitato le Olimpiadi. Di più: Maglio sostiene che avrebbe persuaso le autorità politiche e sportive italiane ad organizzare i Giochi negli stessi impianti ed alloggi utilizzati per le Olimpiadi. Qualcosa di difficile anche solo da credere. L’intraprendenza di Maglio, i suoi rapporti e le sue conoscenze, la forza dell’Inail, la disponibilità del Coni e della politica italiana, compiono il miracolo: i IX Giochi internazionali di Stoke Mandeville prendono casa a Roma.

Ed eccoci a quel 18 settembre di sessant’anni fa. È la cerimonia di apertura. Le delegazioni delle nazioni ospiti sono sbarcate nei giorni precedenti all’aeroporto di Ciampino, ricevute da una delegazione dell’Inail. C’è anche il direttore generale dell’Inail, avvocato Corrado Bertagnolio. È lo stesso Antonio Maglio ad accogliere ai piedi dell’aereo, con un caloroso abbraccio, sir Guttmann, giunto alla guida della squadra britannica. Al Villaggio Olimpico, concesso dal Coni, alloggiano in modo confortevole i 400 partecipanti e i circa 200 accompagnatori. Sui pennoni sventolano le bandiere della nazioni partecipanti: ci sono anche (l’ordine è quello del medagliere finale) Italia, Gran Bretagna, Germania, Austria, Usa, Norvegia, Australia, Olanda, Francia, Argentina, Rhodesia, Irlanda, Svizzera, Belgio, Finlandia, Israele, Malta. La cerimonia di apertura si svolge ai campi di atletica dell’Acqua Acetosa, zona nord della città. La sfilata delle squadre partecipanti è aperta dalla Gran Bretagna, nazione fondatrice dei Giochi, ed è chiusa, per dovere di ospitalità dall’Italia: tutti ricevono applausi. In tribuna autorità c’è Carla Gronchi, moglie del capo dello Stato. I discorsi ufficiali sono affidati al presidente dell’Inail, Renato Morelli, e a Ludwig Guttmann, presidente del comitato internazionale dei Giochi. Le cronache dell’epoca ricordano come Morelli sottolinei come per la prima volta i Giochi si tengano fuori dalla Gran Bretagna e come la scelta di Roma rappresenti uno stimolo per l’Italia che con il centro di Ostia è all’avanguardia in questo settore della medicina; Guttmann dal canto suo riconosce che se tanti atleti paraplegici sono arrivati a Roma ciò è stato possibile grazie alla generosità dell’Inail. È poi il ministro della Sanità Camillo Giardina (in carica c’è il terzo governo Fanfani, che ha giurato da neppure due mesi) a pronunciare la formula di rito e a dichiarare ufficialmente aperti i noni Giochi internazionali di Stoke Mandeville. Le gare si svolgeranno nei sei giorni successivi al centro sportivo del Tre Fontane. L’Italia chiuderà al primo posto nel medagliere, conquistando complessivamente 80 medaglie.

Ancora oggi, sessant’anni dopo, a Ostia vive un piccolissimo nucleo di quei primi atleti paralimpici italiani. Approdati giovanissimi, tra gli anni 50 e 60, al Centro Paraplegici dell’Inail diretto dal dottor Antonio Maglio, rimisero moto le proprie vite attraverso lo sport. Erano operai, agricoltori, pastori provenienti da tutte le regioni d’Italia, che Maglio riuscì a coinvolgere in un progetto di riabilitazione e reinserimento sociale rivoluzionario. Erano tutte vittime di infortuni sul lavoro gravi e fortemente invalidanti, che sembravano aver tolto spazio a qualsiasi speranza. Attraverso il duro impegno e la sport-terapia, sono invece riusciti a diventare dei campioni nazionali e mondiali. Le loro vite straordinarie e i loro successi di uomini e donne, prima che di atleti, rappresentano un chiaro esempio del forte valore sociale e terapeutico dell’attività sportiva.

L’archivio di Memoria Paralimpica

Per non perdere il patrimonio di ricordi e narrazioni del gruppo di Ostia, una memoria dal valore inestimabile sui primordi dello sport paralimpico, nel 2016 è stato realizzato il progetto “Memoria Paralimpica”, con l’obiettivo di recuperare e mettere a disposizione dell’intera collettività le testimonianze dei diretti protagonisti e/o dei loro familiari e le foto più significative tratte dai loro album fotografici. Le loro vicende individuali, accanto alle immagini di vita sportiva e quotidiana all’interno del Centro Paraplegici di Ostia, permettono di fare luce su un pezzo di storia del nostro Paese su cui non si era fino a quel momento indagato abbastanza.

Promosso dal Comitato Italiano Paralimpico (con la partecipazione di Inail e Fondazione Italiana Paralimpica) e realizzato da Redattore Sociale, insieme a Zoofactory Film Production e a Kapusons web agency, il progetto è sfociato nel sito web www.memoriaparalimpica.it, pensato e realizzato come un archivio multimediale della memoria (video interviste, filmati d’epoca, foto e immagini), facilmente fruibile e accessibile ai vari tipi di disabilità, con l’ambizione di raccontare un pezzo di storia dell’Inail, dello sport per disabili e dell’intero Paese. In particolare vi si trovano le interviste a 12 pionieri dello sport paralimpico e/o ai loro familiari (in formato integrale e per estratti e accessibili sia attraverso il sito sia attraverso Youtube): si tratta di Aroldo Ruschioni (con Tonino Degli Schiavi), Olver Venturi, Uber Sala e Irene Monaco, Silvana Martino, Lucia Marson (per il marito Roberto), Maria Arizzi (per il marito Antonio), Chiara e Serena Loi (per lo zio Vittorio), Stella Maglio (per Antonio Maglio), Gino Giorgi. Con i loro ci sono anche i racconti di Luca Pancalli, Carlo Di Giusto, Martina Caironi, Monica Contrafatto, Paola Fantato, Alvise De Vidi, Francesca Porcellato, Assunta Legnante, Alex Zanardi, Beatrice Vio, Vittorio Podestà, Cecilia Camellini, Pasquale Barriera.

Nell’archivio di “Memoria Paralimpica” ci sono anche 900 foto inedite provenienti dagli album personali dei singoli testimoni, ma anche da altre fonti tra cui il Cpo di Ostia e l’Associazione Amo, 30 gallery multimediali contenenti le foto e i video raccolti, 4 video d’epoca realizzati dall’Inail e perfino 5 canzoni cantate dal complesso del Centro Paraplegici di Ostia, tra cui una composizione musicale scritta ed eseguita dal dottor Antonio Maglio in persona.

Il progetto mette a disposizione di tutti anche un documentario (“E poi vincemmo l’oro”, 56 minuti) sulla nascita e lo sviluppo del movimento paralimpico in Italia, i cui protagonisti sono dieci pionieri dello sport paralimpico (e/o loro familiari) affiancati da dodici atleti contemporanei che in quel momento si apprestavano a disputare le Paralimpiadi di Rio 2016. campioni moderni e contemporanei. Una selezione dei materiali raccolti è stata proposta anche su formato cartaceo, con un numero speciale della rivista “SuperAbile Inail”, edita dall’Inail.

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