La rubrica “Senza conservanti” di Vinicio Albanesi. N.42 – EROI-MARTIRI

La storia antica e moderna racconta come, per una causa nobile, c’è chi sfida la morte per sostenere un ideale. La causa è sempre a vantaggio di una collettività. Chi combatte per una causa civile (democrazia, libertà, diritti) è chiamato eroe. Chi persegue un credo religioso è chiamato martire.

Si rimane impressionati come, spesso, chi va incontro alla morte, conosca bene i rischi che corre. Non sempre questi rischi sono conosciuti nel dettaglio: sicuramente l’ideale proclama una verità negata, con nemici senza scrupoli. Le cronache non dicono ancora se Navalny sia stato ucciso o sia morto per cause naturali. Di sicuro era in carcere ed era già stato avvelenato per motivi politici. Viene in mente don Pino Puglisi, Parroco di Brancaccio, ucciso dalla mafia, all’ingresso della canonica il 15 Settembre 2013. Tra i due non c’è nessuna connessione, se non quella di essere eroi-martiri. Lontani per ideali e lontani nei territori.

Eroi-martiri non si diventa, né si progetta. Solo l’attaccamento a una causa nobile può far vincere le paure e gli inconvenienti per la propria azione. La forza dell’ideale deve essere così grande da non temere la morte. Molti sono gli eroi-martiri: persone che nessuna cronaca porterà alla luce. Giornalisti, sindacalisti, volontari, sacerdoti, religiose, soldati, donne e uomini che si sacrificano per qualcosa o per qualcuno. A volte cercano la verità, a volte combattono contro le ingiustizie, a volte operano per un maggiore benessere.

Fanno impressione perché il mondo sembra girare su altre frequenze: divertimento, celebrità, ricchezze, fatuità. Portano messaggi forti, riflessivi, seri, dignitosi. Il mondo ha, nel suo seno, bellezze e bruttezze, favole, musica, ma anche morti, persecuzioni, violenze. Hanno il merito di accrescere la coscienza critica. La vita è un bene serio. Non soltanto per sé, ma per la collettività in mezzo alla quale si vive. Non occorrono distinzioni di idee, appartenenze e credi per esaltarle. La storia li ricorderà perché sono stati segno propositivo, pagando con il proprio sangue, rinunciando alle attese di vita.

Anche se non si ha la forza di diventare come loro, almeno riconoscere che si è portatori di privilegi senza merito.