In Dad, ma insieme: a Fermo il centro The Tube sfida l’isolamento

E’ passato quasi un anno e quella che doveva essere una “misura d’emergenza” è ormai un’abitudine, spesso una cattiva abitudine. Parliamo della didattica a distanza, che tanto impatto ha, ancora oggi, soprattutto sui ragazzi delle scuole superiori. Ancora di salvezza da una parte, cattiva abitudine, appunto, dall’altra. Come l’abitudine di alzarsi tardi, di non alzarsi affatto, di restare in pigiama tutto il giorno. Le hanno intercettate, queste “cattive abitudini”, gli educatori e gli psicologi del centro “The Tube” di Fermo, che a novembre hanno pensato, insieme ai ragazzi stessi, di correre ai ripari, inventando qualcosa che non c’era: la possibilità di fare lezione a distanza, ma insieme, stando vicini (nei limiti del possibile) pur frequentando scuole e classi diverse. A raccontarci l’idea e la sua evoluzione è Chiara Attorre, psicologa del centro The Tube, realtà educativa territoriale promossa dall’associazione Mondo Minore Onlus della Comunità di Capodarco di Fermo, nell’ambito del progetto “No Neet – Il principale problema che ha la scuola sono i ragazzi che perde”, che rientra nel Bando Adolescenza indetto dall’impresa sociale “Con i Bambini” e rivolto alle organizzazioni del Terzo settore e al mondo della scuola, con l’obiettivo di promuovere e stimolare la prevenzione e il contrasto dei fenomeni di dispersione e abbandono scolastici di adolescenti. Il servizio due giorni a settimana ha aperto le porte ai ragazzi delle superiori per seguire le lezioni in Dad con il rispetto delle norme anti-contagio, come viene raccontato in un articolo pubblicato dalla Comunità di Capodarco.

Oggi, con le scuole superiori che nelle Marche stanno tornando totalmente a distanza, il servizio di prepara a ripartire. “L’idea ci è venuta a novembre scorso, quando ci siamo resi conto di quanta fatica facessero i nostri ragazzi facevano a seguire la didattica a distanza”. Ci racconta. I ragazzi sono quelli che, una volta a settimana, il venerdì pomeriggio, frequentavano il centro per un supporto nei compiti o altre attività di confronto e riflessione, “Ragazzi sul filo del rasoio – li definisce Chiara – che con la didattica a distanza rischiavano di precipitare. Durante i nostri incontri, in cui cerchiamo di tirar fuori esperienze e problematiche, abbiamo intercettato la loro fatica: ci hanno raccontato che spesso saltavano la prima ora o la seguivano dal letto, perché non riuscivano ad alzarsi. Le ragazze, in particolare, ci dicevano che la mattina non si truccavano più, non si facevano belle: non andare a scuola stava facendo venir meno la cura del sé. Così abbiamo proposto loro di venire a seguire le lezioni al centro, almeno in parte. Abbiamo chiesto loro di compilare un modulo, per raccogliere i loro bisogni. Sulla base delle loro vere esigenze, abbiamo costruito il servizio: il lunedì, il mercoledì e il sabato mattina avrebbero potuto frequentare le lezioni da qui, chiaramente in sicurezza, ciascuno le proprie lezioni. Appena abbiamo iniziato, ci siamo resi conto che la ‘fame’ reale riguardava la socialità, non tanto la didattica. La nostra preoccupazione era rimetterli sulla strada della scuola, ma la loro priorità era ritrovarsi, stare insieme, parlare. Abbiamo utilizzato le ore cosiddette asincrone per dedicarci alla riflessione con loro: ed è venuto fuori un mondo, abbiamo scoperto che trascorrevano ore connessi con tutte le parti del mondo, ci siamo trovati davanti agli occhi dei varchi di rischio che i genitori non conoscevano. Li abbiamo allora aiutati a valorizzare le ore della mattina, ma anche a programmare quelle del pomeriggio. E condividendo le mattinate con loro, abbiamo scoperto tanto: ci siamo trovati davanti, dall’altra parte dello schermo, professori che ce la mettevano tutta, altri che passavano le ore in silenzio. Nei ragazzi, ma anche in alcuni docenti, abbiamo scoperto una demotivazione altissima e una stimolazione bassissima. Ho raccolto i contributi e le testimonianze dei ragazzi – ci racconta ancora Chiara – e mi hanno colpito tanto, mi hanno anche fatto arrabbiare: non si poteva andare avanti in questo modo. Ho chiesto anche ad alcuni professori di raccontarmi come vivessero la Dad ed è emersa pure la loro, di frustrazione, la sofferenza in solitudine”.

Essere insieme, a seguire le lezioni, ha aiutato i ragazzi a ritrovare la motivazione: “Venivano sempre, quei tre giorni in cui era possibile venire: e incredibilmente puntuali. Una volta son arrivata con un paio di minuti di ritardo e li ho trovati fuori dalla porta, già connessi con i telefonini: ‘Abbiamo già risposto all’appello’, mi hanno detto. E’ stato emozionante: nella qualità dello studio non c’è stato alcun miglioramento, ma hanno conquistato la presenza e la responsabilità rispetto all’essere studente. Ora, “la nuova chiusura ci preoccupa, per l’impatto che potrà avere sui ragazzi, ma non ci spaventa, perché noi siamo pronti a ripartire – promette Chiara – Oggi pomeriggio stesso incontreremo i ragazzi e, come sempre insieme a loro, decideremo modi e tempi, sulla base delle loro esigenze”.

Le testimonianze

Per raccontare meglio la fatica della Dad e quindi l’importanza di questo progetto, Chiara ci fornisce le testimonianze di alcuni ragazzi e alcuni docenti. “Io ci tengo alla scuola – racconta uno dei ragazzi. Quest’anno faccio il primo superiore e volevo fare proprio una buona impressione. Invece alle interrogazioni vado male, perché non seguo le lezioni. Cioè a volte faccio assenze, altre invece anche se sono presente faccio altro, apro Instagram, chat foto o video e non seguo… Quindi poi quando sento il mio nome chiudo tutto e torno a scuola, spesso questo mi costa un due o un tre. Mi verrebbe da dire: ma io non c’ero, ma non si può! E’ difficile, il quadratino nero con il mio nome era lì. Il bello è che poi mi trovo a scrivere sulla chat della classe e suggerire perché, da dietro lo schermo, è un attimo cercare su internet ed aiutare chi sta al banco degli ‘interrogati’. Si può collaborare, molto più di quanto si poteva fare in classe e questo mi piace, ma poi quando è il mio turno la solitudine mi piomba addosso ed è lì che mi manca il compagno di banco. Sento il bisogno di chi in silenzio partecipa al successo o insuccesso. Ho bisogno di qualcuno che ‘ci sia’. Purtroppo però spesso di fronte agli insuccessi ci sono dei quadratini neri, addirittura silenziati, perché pochi ci mettono la faccia, e il non sapere se ridono della figuraccia mi rattrista. D’altronde non ho ancora avuto modo di conoscere i miei compagni di classe”.

“Io non ce la faccio, sembrerà assurdo perché tanto noi siamo quelli che stiamo sempre attaccati al telefono – racconta un altro studente – Non riesco proprio a seguire, mi stufo e non reggo tutte quelle ore di seguito. Ci sono delle pause certo, ma non è lo stesso. Mi manca la campanella, il potersi alzare, fare due chiacchiere; non lo so ma a scuola il tempo passava più velocemente. Però la cosa che mi piace adesso è che non ho più bisogno di mamma o papà per uscire, prima dovevo chiamarli, aspettare che arrivassero far firmare l’uscita e finalmente ero libero. Ora basta un click e il gioco è fatto. Fuori. Fuori ‘pericolo’. Possiamo gestire il tempo scuola da soli, questo mi fa sentire grande faccio io le mie scelte, posso fare finalmente come voglio. Con un click posso saltare interrogazioni, compiti, correzioni, domande a sorpresa, e anche intere lezioni”.

“I ragazzi stanno perdendo fiducia e motivazione – racconta una professoressa di Liceo Classico – Con le lezioni online si ha l’impressione di incontrarsi, ma in realtà si vive una grande solitudine. E questo capita anche a noi insegnanti”. “La Dad è stata importante per non perdere la rotta in un momento di emergenza come questo – spiega un’altra professoressa – La priorità era continuare ad esserci, mantenere un contatto con i ragazzi, dare loro un riferimento in un momento di forte disorientamento, in cui tante famiglie hanno problemi economici, incertezze sul futuro, che i ragazzi inevitabilmente respirano. Comunque la scuola deve starci, deve restare accanto al ragazzo, in questo risiede il valore della Dad. Ma che nessuno provi ad equipararla ad una didattica in presenza, sia come efficacia pedagogica che didattica… Scuola è socializzazione, interiezione, una motivazione all’apprendimento, che attinge a quello che solo un rapporto di persona può offrire. Scuola come riflesso della società e delle dinamiche che si realizzano in una comunità. Inutile dire che tutto ciò vale anche per il docente, si sceglie di essere insegnante perché stare con i ragazzi è stupendo e coinvolgente. Rispetto a tutto questo, la Dad non è che una trasmissione arida di saperi”.

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