Che cosa cambiare nelle residenze per anziani? Come? Mentre risale la curva dei contagi e dei decessi anche nelle RSA, proviamo a tirare le fila delle diverse idee, proposte, auspici circolati negli ultimi mesi per far fronte alla strage avvenuta nelle residenze, per far sì che non si ripeta. E forse anche per cambiare un modello di cura e di presa in carico della disabilità e non autosufficienza.
Welforum.it e Redattore Sociale hanno dedicato un’attenzione particolare a quello che è successo quest’anno nelle residenze. Qui proponiamo una sintesi di alcune delle proposte emerse. Non è una rassegna esaustiva e le proposte considerate certamente riguardano condizioni diverse di non autosufficienza, che per loro stessa natura esprimono esigenze, bisogni di cura e assistenza diversificati, per cui i cambiamenti auspicabili possono posizionarsi a diversi livelli di complessità. Un approfondimento analitico delle proposte in relazione a condizioni diverse di salute va al di là di questa rassegna, pur rimanendo cruciale se pensiamo alle residenze di domani.
Cambiare nell’emergenza e per l’emergenza
Un primo ordine di cambiamenti riguarda le risposte dirette all’emergenza, soluzioni per fronteggiarla al meglio. Il documento sottoscritto da Agespi, Uneba e altre sigle nazionali intitolato “Richiesta urgenti interventi legislativi ministeriali e di sostegno economico”, uscito nel mese di ottobre, riguarda ad esempio una serie di interventi auspicato riguardanti l’impatto sulla tenuta economico gestionale delle strutture, gli oneri per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale, la copertura assistenziale e la messa in campo di altre professionalità, la mancanza di volontari, la rimodulazione dell’organizzazione e degli spazi nelle strutture, la sanificazione, la gestione dei casi sospetti.
Anche l’Istituto superiore di sanità ha pubblicato delle linee guida su come fronteggiare al meglio l’emergenza Covid da parte delle strutture di ricovero, con indicazioni di grande dettaglio in termini di misure di carattere organizzativo per prevenire l’ingresso di casi sospetti, il rafforzamento dei programmi e dei principi fondamentali di prevenzione e controllo, la formazione e addestramento del personale per la corretta adozione delle misure di prevenzione, protezione e precauzioni di isolamento.
Cambiare per sempre, oltre l’emergenza
Un secondo ordine di cambiamenti si distacca leggermente dalla risposta immediata all’emergenza sanitaria per affrontare nodi organizzativi e professionali che aiuterebbero le strutture, in un’ottica di medio periodo, a gestire con armi meno spuntate situazioni pandemiche come questa.
Pensiamo in particolare alle “tre rivoluzioni” proposte da Franco Pesaresi, alle diverse proposte di Marco Trabucchi, tra cui l’equiparazione dei contratti per gli infermieri delle Rsa a quelli della sanità ospedaliera, al fine di frenare la “fuga” di personale sanitario dalle strutture residenziali; e pensiamo anche alle diverse indicazioni emerse dalle audizioni alla Camera dedicate al tema al tema delle Rsa e a quelle esaminate durante il seminario di Erickson sullo stesso tema.
Anche Pietro Landra e Maurizio Motta propongono modifiche strutturali, rimanendo sempre dentro il modello RSA, che va però reso più aperto, duttile e personalizzato. Lo stesso fa il sociologo Cristiano Gori. E in questa stessa direzione sta lavorando anche la commissione per la riforma delle Rsa, istituita il 24 settembre scorso presso il ministero della Salute e presieduta da monsignor Vincenzo Paglia, finora riunitasi una sola volta, per mettere sul tavolo criticità e nodi da sciogliere, nonché possibili proposte e soluzioni, all’interno di un modello che ha mostrato la sua debolezza e necessita di essere profondamente rivisto.
Molte delle proposte di questo gruppo vanno nella direzione di allineare di più, in termini contrattuali ecc, le residenze con gli ospedali. Una sorta di “sanitarizzazione” delle RSA.
Cambiare non basta: verso la “cancellazione” delle Rsa
Un terzo ordine di cambiamenti riguarda modifiche decisamente più strutturali. La proposta più estrema in questo gruppo è quella formulata, per esempio, da don Vinicio Albanesi, che auspica la chiusura delle RSA entro il 2026 e una parziale riconversione di esse in piccole comunità con al massimo 15 posti. Proposta simile è stata avanzata anche da alcune associazioni, in testa l’Anffas.
Senza arrivare a una tale drasticità di proposta, l’idea di potenziare fortemente l’offerta di comunità residenziali di dimensioni ridotte, più aperte nei confronti del territorio e più inclini a modalità organizzative e di cura meno standardizzate è stata avanzata anche da Sergio Pasquinelli e rappresenta una linea su cui certamente occorre investire. In questo senso anche soluzioni abitative alternative, il co-housing, ma anche un’assistenza domiciliare potenziata, esperienze di welfare collaborativo possono ridurre richieste “improprie” di ricovero che potrebbero trovare soluzioni che aiutano a tenere le persone nel loro proprio contesto di vita.
Queste proposte divergono, non sono tutte compatibili tra loro, attengono anche a condizioni diverse di non autosufficienza.
In particolare chi indica un cambio di modello verso strutture ridimensionate, aperte, più personalizzate, sia esso parziale o complessivo, certo diverge dall’idea, prevalente in chi rimane dentro una cornice di tipo “sanitario”. Se la struttura a cui ci si ispira è quella di un ospedale, certo siamo lontani da residenze più diffuse, aperte, personalizzate, ritagliate in base alle caratteristiche delle persone interessate.
Probabilmente dobbiamo immaginare non un unico ma più modelli, articolati in base ai bisogni di cura e all’intensità assistenziale necessaria. Questo richiede di compiere delle scelte, di politica dei servizi ma anche di quale idea abbiamo e perseguiamo nell’assistenza delle fragilità di domani, in relazione ai diversi bisogni che la non autosufficienza esprime.