Diversi orizzonti, Marcello Maggi e il suo rapporto con il mare

Diversi orizzonti

di Marcello Maggi*

Soffia… Soffia… Tranquilli non state leggendo Moby Dick, e allora? Calma, adesso capirete, intanto una veloce presentazione: sono un vecchio uomo di 66 anni, e a questo punto vi pregherei di non iniziare una polemica inutile sulla vecchiaia, il tempo è un concetto relativo e io sono e mi sento vecchio, molto, molto vecchio. Sono un ex atleta, ex operaio, ex delegato sindacale, coniugato e poi separato con due figli e una nipote dolcissima. Porca miseria, ho vissuto. Da circa 13 anni sono un disabile, un “tetraplegico”, grazie a uno stupido incidente in bici, una delle mie passioni insieme alla montagna, di quelle cose che mi porto dietro sin da ragazzino.

Potete ben capire il mio stato d’animo, nella mia seconda vita dovevo rinunciare a tutto quello che avevo amato nella mia vita precedente. Comprenderete qui anche il mio stupore quando circa due anni fa, un amico “bipede”, un amico “abile”, mi invita ad andare con lui in barca e a fare un corso di vela, con un’associazione del luogo, “Liberi nel vento”, che organizza corsi e regate per “abili” e disabili. Ricordatevi sempre che sono stato per una vita un montanaro, sono nato comunque in una città distante dal mare, a una ventina di chilometri, e vi confesso che in gioventù ho sognato di fare un corso di vela che allora costava ’na cifra e la susseguente iscrizione a un centro nautico ’na cifra doppia o tripla. Mancandomi la cifra iniziale riposi questo mio sogno in un cassetto. Mi si presentava allora una occasione fantastica, unica, ritirare fuori dal cassetto il mio sogno e attivare una nuova sfida con me stesso e i miei limiti. Accettare è stato un impulso immediato, i problemi sono arrivati subito dopo, ma andiamo per gradi.

Le barche a nostra disposizione sono di due tipi: Hansa biposto e 2.4 monoposto più veloce dell’altra, naturalmente a me è toccata la monoposto, le mie mani si muovono un po’, permettendomi di manovrare la barca da solo. Il primo problema da risolvere è stato quello di come salire in barca, fortunatamente l’imbarcadero è munito di apposita gru per le barche ma anche di una più piccola per noi persone disabili, l’uscita dal porto al traino del gommone ve la risparmio, ma da un neofita, e per giunta montanaro, cosa pretendete? Problemi nascevano anche dall’uso da parte mia di un linguaggio non adeguato: «Quante corde, a cosa servono?» L’istruttore: «Qui non ci sono corde ma cime, scotte». Entrare nel linguaggio tecnico del velista è stato perfino divertente: cazzare la randa, sparare il tangone e altre facezie mi riportavano alla mente le prime telecronache dell’America’s Cup viste in tv.

Sull’andatura di bolina ebbi un divertente battibecco con l’istruttore, dovete sapere che con l’andatura di bolina la barca si piega molto di lato. L’impressione è quella di sfiorare con il naso l’acqua e, se il vento è allegro, il mare si muove, e le onde portano acqua dentro lo scafo.

«Si riempie lo scafo d’acqua, aiuto!»
«Tranquillo, c’è la pompa di sentina».
«Ma quale pompa lo scafo è piccolo, al massimo una pompetta e comunque l’acqua sale».
«Tranquillo, la barca non affonda comunque».
«Sarà».

Non ricordo se la quarta o quinta uscita in barca cambiammo rotta, di solito si veleggiava lungo costa, quel sabato con vento buono puntammo la prua verso il largo, navigavamo di bolina, la randa e il fiocco ben tesi, la 2.4 filava veloce, d’improvviso mi trovai da solo, avevo perso di vista le altre barche, il mare che si muoveva, l’orizzonte lontano che più mi avvicinavo più si spostava oltre. Vi sarà capitato senz’altro nella vostra vita di essere saliti su un monte e sulla cima, col tempo buono, abbracciare a 360 gradi un panorama immenso, l’orizzonte, lontano, ma tanto vicino da poterlo toccare con una mano, e questa vista vi colmava il cuore di gioia ripagandovi di tutta la fatica fatta per arrivare sin lì. In barca non era così, quell’orizzonte mi procurava angoscia, ecco allora affiorare alla memoria storie di mare per cui anche una megattera che soffia può alleviare la tua solitudine e l’angoscia che ne deriva.

Durò poco, un «Viraaaa» sparato al massimo dei decibel possibili con quel vento mi riportò alla realtà e ai problemi tecnici. «Comeeeee faccioooo?». Insomma ero pur sempre un principiante e pure imbranato. Una cosa che il mio amico “bipede” non aveva sbagliato nel dirmi era che “abili” e disabili gareggiano insieme e gli ultimi vincono pure. Questo non riguarda me, naturalmente ho ancora molta strada da percorrere, ma di tempo ne abbiamo. O no?

Buon vento a tutti, ne abbiamo un gran bisogno di questi tempi.

 

Marcello Maggi si definisce operaio e proletario. Nel 2008 un incidente in bicicletta ha cambiato la sua vita. Da quel giorno è una continua sfida per recuperare parte di quello che ha perso.  Articolo tratto dal numero estivo di agosto-settembre 2021 di Superabile INAIL,  il mensile dell’Inail sui temi della disabilità