Persone accolte che diventano “coterapeuti”: ecco il “modello-Capodarco”

foto: Stefano Dal Pozzolo

foto: Stefano Dal Pozzolo

CAPODARCO DI FERMO – “Nelle nostre comunità avviene una compartecipazione nel percorso da parte della persona accolta: diventa coterapeuta ed è inserita nella società civile”: lo ha sottolineato Riccardo Sollini, responsabile dell’associazione “L’arcobaleno” della Comunità di Capodarco. È uno dei partecipanti alle due giornate di formazione promosse da ieri dalla Comunità per tutta la rete degli operatori e dei responsabili delle realtà presenti in tutta Italia. Una cinquantina i partecipanti, che si stanno confrontando sul welfare con il sociologo Giovanni Battista Sgritta, docente all’Università La Sapienza. Oggi pomeriggio verrà reso noto un documento di proposta per una riforma dello stato sociale nel nostro Paese.

“Il terzo settore non è un mero esecutore dei servizi che gli vengono chiesti, ma per sua vocazione intercetta i bisogni, anche quelli nuovi di una società che cambia”, ha sottolineato Augusto Battaglia, della Comunità di Capodarco di Roma, ricordando alcuni fenomeni recenti come “il cohousing, l’agricoltura sociale, le reti di solidarietà e di vicinanza come le ‘social street’” e l’attenzione crescente verso le strutture che si occupano del “dopo-di-noi”. Occorre però “un nuovo sistema di monitoraggio e di controllo che non si limiti a un mero sistema di burocrazia, ma che punti e badi alla effettiva qualità della vita delle persone”.

Angela Regio, vicepresidente nazionale della Comunità di Capodarco e membro della Comunità Progetto-Sud di Lamezia Terme, si è chiesta come “allargare le maglie della solidarietà e cosa non vogliamo ci sia nelle linee guida per la riforma del terzo settore”. Non c’è bisogno “di inventarsi chissà cosa: il modello-Capodarco ce l’abbiamo ed è sempre valido. Ma rifiutiamo la delega e vogliamo una funzione regolativa dello Stato in maniera forte: solo così avremo un terzo settore forte”. In secondo luogo, ha aggiunto Regio, “vogliamo uno spazio per ricercare e innovare, slegato da una burocrazia eccessiva: modelli, servizi e attività che costano meno, con una qualità della vita alta, che sperimentiamo e di cui dimostriamo la ricaduta. Ci manca ancora una scientificità su cui dobbiamo puntare”. Infine, “non vogliamo annacquare le diversità presenti nel terzo settore: ci sono diverse anime a cui mettere i paletti. Se lavoriamo con la mentalità degli anni Ottanta, dobbiamo avere una funzione anticipatrice senza chiedere nulla in cambio, ripensandosi senza chiudersi solo nella propria sussistenza”. Forte il richiamo allo studio e all’approfondimento “per poi comunicare all’esterno”. (lab)

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