Terremoto: “Serve un respiro ampio”

“Dopo il terremoto serve un progetto ad ampio respiro per il futuro delle zone di montagna delle Marche già disabitate prima del sisma, uno sguardo lungo che tenga conto della sostenibilità economica e sociale. E per metterlo in atto occorrono molta intelligenza e capacità”. Lo ha detto don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, in apertura del convegno “Terremoto, ricostruire futuro” che si è svolto ieri nell’ambito della giornata conclusiva del Capodarco l’Altro festival (22-25 giugno) e della quattordicesima edizione della festa delle Comunità di capodarco. A dialogare con don Albanesi il presidente della regione Marche Luca Ceriscioli, il giornalista Maurizio BlasiElio e Alice Corradini, allevatori di Amandola e Ugo Pazzi, agronomo e esponente di Slow Food.

don Vinicio Albanesi, Luca Ceriscioli, Maurizio Blasi, Alice ed Elia Corradini

“Fin dalla prima scossa del 24 agosto – ha detto Ceriscioli – ho fatto la scelta di impostare il lavoro enorme che c’è da fare in modo coerente e con una meta chiara: rilanciare le zone colpite dal terremoto, ripopolarle e ricostruire finanziandole al 100% anche le seconde case dentro al cratere, visto che sono l’80 per cento delle abitazioni delle aree interessate. Questo dimostra che lo sguardo di lungo periodo c’è già. Le risorse europee a disposizione sono 1 miliardo e 200 milioni del fondo emergenza, in più per le ci sono 400 milioni di fondi Fesr della programmazione 2014-2020 che vanno usati per le infrastrutture e per le condizioni generali di vita delle persone. L’obiettivo è il rilancio delle aree interne e il loro ripopolamento. La lentezza è la sommatoria di tante tempistiche, non si può avere la velocità di un tweet. Intanto ci sono 50 comuni che hanno un cronoprogramma per  le macerie. Finora ne sono state portate via 71 mila su 170 mila complessive, che sono il triplo di quanto è stato portato via dall’Aquila in 10 mesi”.

Alice e Elia Corradini sono produttori di Amandola che esportano carne in diverse regioni italiane. Sia la loro casa sia il loro laboratorio sono inagibili dopo il terremoto. Ma loro non se ne sono andati. Per continuare a lavorare si appoggiano a un laboratorio emergenziale: “Siamo stati fortunati – ha detto Elia – altrimenti saremmo chiusi da 9 mesi, ma noi siamo testoni e vogliamo continuare a vivere nella nostra zona. Il terremoto deve essere un’opportunità per ripartire e rilanciare questo territorio, puntando sui prodotti di qualità e sul turismo”. “In questi mesi – ha sottolineato Alice – abbiamo avuto molta solidarietà, l’aiuto ci è arrivato dal volontariato, dai privati, dal comune, mentre non abbiamo avuto il sostegno delle forme associative”.

“Più che di parlare di ricostruzione io parlerei di rigenerazione”, ha detto l’agronomo Ugo Pazzi. A proposito di prodotti di qualità, Pazzi ha fatto una riflessione sul valore del cibo:  “Il cibo è relazione – ha spiegato -, sbagliamo se lo consideriamo solo una merce. Il cibo industriale è un problema per le disuguaglianze, per l’ambiente, dobbiamo puntare sul cibo fatto dalle comunità locali”.

Ma in questo scenario, “che fine fanno i poveri?”, ha incalzato don Albanesi. “Siamo stretti in una morsa senza soluzione, perchè il cibo di qualità se lo può permettere solo chi è ricco. Questo meccanismo che crea sempre più disparità come si blocca?”.

Conclusione affidata al presidente Ceriscioli: “Le risorse che abbiamo a disposizione sono un’occasione da non sprecare, e questa è una responsabilità di tutti. Fondamentale è la partecipazione, che ci consentirà di sbagliare di meno e di coinvolgere tutti i protagonisti”.