Dal 2001 al 2018 abbiamo accolto nella nostra Comunità oltre 150 ragazzi, provenienti, per lo più, dal Centro di prima accoglienza del Comune di Ancona. Erano giovanissimi. La storia di alcuni di loro è rimasta significativa. Ricordando le vicende di Mohammad, di Rezai, di Shekil rimanemmo increduli per quanto avevano vissuto. Scappati a 11 anni dalla loro terra, si sono rifugiati prima in India, dove furono utilizzati, per tre anni, nella lavorazione dei tappeti: i celebri tappeti persiani fatti a mano, policromi e preziosi.
Da lì si rifugiarono in Grecia, poi in Albania, infine nascosti in un tir frigorifero, arrivarono in Italia. Avevano già l’informazione che dal Centro di prima accoglienza avrebbero avuto una sistemazione stabile. Così fu. Nella comunità si comportarono bene, Mohammad frequentò, per tre anni, una scuola professionale. Al termine dei 18 anni si inserirono nel lavoro. Hanno sposato ragazze italiane ed ora hanno figli. Mohammad ha dimostrato capacità imprenditoriale: ha un panificio, con tre punti vendita di pane, dolci, focacce … Rezai lavora in un vivaio da molti anni; di Shekil non abbiamo saputo più nulla.
La loro e la nostra storia dimostra che l’accoglienza, l’inserimento e l’integrazione di stranieri sono possibili ed utili. Erano ragazzi, scappati dalla loro terra, non avendo nessuna prospettiva: nei primi anni 2000 scappare, a 11 anni, dalla loro case, per andare verso un futuro incerto, dimostrava una forza interiore non comune. I nostri figli a 11 anni erano e sono ancora oggi, accompagnati a scuola.
Non si lamentarono mai della loro condizione. Solo dopo quattro anni, Mohammad poté sentire la madre. Al telefono lei non lo riconobbe; il ragazzo appellò ad alcuni episodi d’infanzia, per assicurarla che era suo figlio. Ora è in Islanda, con lo zio. I ragazzi albanesi arrivarono in Italia numerosi perché furono i loro genitori a spingerli a partire. In Albania, dopo il lungo periodo di dittatura, tutto era in disfacimento. Il costo (caro) del viaggio in Italia era diviso in due parti: la metà alla partenza, l’altra metà all’arrivo.
La procedura per il permesso di soggiorno durò anni, con ricorsi fino alla Cassazione. Da oltre vent’anni le leggi italiane hanno predisposto la regolamentazione di ingresso di stranieri: ultimamente è esplosa la venuta dalla Tunisia. Ma le esplosioni si sono ripetute periodicamente, anche con grandi sciagure. Nel 2000 scrissi che il Mediterraneo era pieno di cadaveri: ora lo dicono tutti, continuando a non sapere cosa fare.
Il paradosso è la contraddizione delle opinioni. La prima tesi dice che gli stranieri nel nostro paese sono troppi; si rischia la perdita dell’identità del nostro popolo; la seconda invoca manodopera per 500 mila persone, necessarie alla produzione (dati industriali). In realtà il pensiero inespresso è il calcolo cinico sull’immigrazione. Silenzi per gli ingressi favorevoli (cinesi, badanti, lavori usuranti), grandi paure per la manodopera generica. La reazione è sempre la stessa: meccanismi ingestibili per i permessi di lavoro programmati; azioni in difesa per le immigrazioni clandestine. L’Europa intera sta invecchiando; programmi di largo respiro non esistono: i respingimenti sono gestiti con fili spinati, respingimenti, oppure con accordi mercantili (Turchia, Grecia, Tunisia, Libia).
Il meticciato è sempre esistito: come le mandrie di bovini e ovini si spostano in cerca di pascoli erbosi, così i popoli hanno sempre fatto. Come andrà a finire non si sa. La storia imporrà la sua legge. Il calo demografico, se non attiveranno politiche intelligenti di integrazione e natalità porterà, dalla presunta identità iniziale, al meticciato casuale. Né sarà una tragedia, ma la nascita di nuove sintesi. Noi stessi siamo figli e figlie di greci, etruschi, romani, normanni, vichinghi: così dicono le scoperte archeologiche. Il buffo è che ne siamo pure orgogliosi.
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SENZA CONSERVANTI
La rubrica del Giovedì di Vinicio Albanesi