“Senza conservanti”, la rubrica di Vinicio Albanesi. N.87 – VIOLENZA IN PUNTO DI DIRITTO

Sono state emanate recentemente due sentenze per violenze in ambito familiare. Il primo caso per l’uccisione da parte del figlio di un padre violento che oltraggiava la madre. I giudici, dopo tre gradi di giudizio hanno assolto il ragazzo, prima assolto, poi condannato, poi definitivamente assolto. Nel secondo caso un padre ha ucciso a fucilate la moglie con una figlia. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo, la condanna definitiva è a 30 anni.

Senza entrare nei dettagli, le motivazioni delle sentenze hanno riconosciuto le attenuanti generiche per ambedue i casi, dichiarando il ragazzo innocente, l’uomo non meritevole dell’ergastolo. Impressiona come gli atteggiamenti, sicuramente violenti oltre misura, siano sottoposti al giudizio umano. Giudici, psichiatri, psicologi, sociologi non riescono a spiegare e a comprendere come si possa arrivare a dare la morte a congiunti, commettendo delitti chiari e violenti.

Nel comminare la condanna si fa appello alle circostanze e agli stati d’animo. Le riflessioni generali portano a chiedersi che cosa possa scatenare così feroce violenza. C’è chi si appella alla fragilità delle relazioni umane, chi al patriarcato, chi al poco senso dato alla vita, chi alla frustrazione. Probabilmente si è imposta la convinzione comune che ogni uomo o donna è padrone non solo di se stesso, ma anche delle leggi che regolano il proprio comportamento. Essendo stata contestata ogni etica condivisa, le proprie esigenze e istinti diventano l’unico appello a cui dare ascolto. La gravità di tale atteggiamento è pericolosa per la sopravvivenza, perché sono disattesi anche i legami di sangue.

E’ un ritorno indietro di civiltà: un autentico declino. Le discussioni possono apportare varie spiegazioni, ma lo sguardo complessivo della convivenza va verso la disumanità. Le leggi civili e penali che tutelano la sicurezza fanno da contrafforte a questa deriva. Per quanto attente e delicate impongono con la reclusione la vita, rovinandola per sempre. Impressiona il fatto che vivendo in una civiltà di benessere, di rispetto e di uguaglianza ritornino indietro istinti primordiali che nulla hanno a che fare con la sopravvivenza. Né la privazione con lunghi anni di carcere riescono a impedire azioni che sicuramente saranno condannate.

Le leggi di sicurezza sembrano non aver effetto perché è la coscienza delle proprie azioni l’unico equilibrio possibile per una convivenza rispettosa. Occorre ripristinare i paletti dell’etica condivisa, superati i quali si cammina verso la perdizione.