Davanti a grandi drammi che provocano disagi e anche morte, quali gli eventi gravi dell’atmosfera o le morti chiamate “bianche” che coinvolgono ciclisti, lavoratori, ultimamente omicidi efferati contro le donne, si suole invocare minori consumi, più dialogo, più cultura, più gentilezza. Alla radice forse di molte squilibri è la non coscienza del superfluo.
Per chi ha vissuto momenti magri della guerra e del dopoguerra viveva senza il superfluo: senza riscaldamenti, senza acqua calda, senza telefoni, senza spostamenti. Non era rifiuto, ma semplicemente mancanza. Il superfluo non era possibile, prima che essere evitato. Il progresso esploso negli ultimi decenni ha fatto aumentare desideri, attese e consumi. Anche la vita normale, senza sprechi, è diventata costosa.
La quotidianità della vita spinge a non avere nemmeno la coscienza del superfluo: vita personale, familiare, collettiva, è composta da molti elementi che confondono necessario e superfluo. Salute, alimenti, istruzione, riposo, svaghi sono incastrati in meccanismi difficili da capire o combattere. Rare volte giunge notizia che qualcuno ha abbandonato la vita frenetica per rifugiarsi in solitudine con mestieri antichi, quali la pastorizia o l’agricoltura, staccando la spina con il mondo vorticoso. Eppure la natura dice che si sta oltrepassando il limite. L’umanità ha superato la disponibilità delle risorse naturali.
Non so, esiste la legge che è la carestia a far emergere il superfluo, per poi dimenticarlo in tempo di benessere. Se così fosse si dovrebbe concludere che l’intelligenza umana non è così attenta, come spesso ha la pretesa di essere. Forse la spiegazione è altra: il sogno proposto dalle culture benestanti è il progredire infinito, quasi che il benessere fosse senza limiti. Tale sogno coinvolge tutti, in una scalata che deve portare in alto.
Un tempo i ricchi erano giudicati male, oggi sono invidiati. Confermerebbe quanto alcuni sociologi hanno avvertito sul meccanismo della circolarità tra desiderio, produzione, consumi. Il meccanismo è nefasto perché il bene posseduto non placa altri desideri che si spostano su altri beni. E’ l’immagine della vite senza fine: gira in continuo perché non ha uno stop. Con l’aggravante che ciascuno pensa a sé e alla propria famiglia, disinteressandosi delle disuguaglianze e della fatica di altri. Solo nel momento del bisogno invocheranno parità, giustizia, solidarietà.