Oramai è chiara la tendenza a rinchiudere le persone disabili e anziane in Istituti. Luoghi chiusi a modo di ospedali, anche se solo in parte dediti alla cura. Il numero dei letti è preferibile siano di 80-100 posti, per economia di scala come dicono gli esperti. In parole povere, più è grande la struttura meno si spende.
Le strutture sono organizzate in blocchi, in genere di una ventina di persone. Le camere hanno due posti letti; se nuove con bagno. L’arredamento consiste nel letto, nel comodino, un armadietto. Il sollevatore per chi è allettato. Il cibo è standardizzato: dopo il Covid le suppellettili sono di tipo “usa e getta”. Il menù è settimanale: per primo minestra, pasta o riso in bianco, per secondo polpette di carne o pollo al vapore, accompagnate da verdura cotta o purè di patate. Per frutta una mela o una pera, anche cotte. La cena è leggera con minestrina e qualche formaggino.
Nella struttura è prevista anche la sala mensa, la sala tv, la palestra. L’assistenza per venti ospiti è a minutaggio, garantita da due presenze per turno di operatori/operatrici socio-sanitari per blocco. La sveglia è il riposo sono ritmati dai turni degli operatori. Al mattino dalle sei in avanti, alla sera dalle 18 in avanti, d’inverno e d’estate. Le visite dei familiari o degli amici sono regolate da ogni struttura: in genere dopo il pranzo o dopo la cena. Le cure mediche sono in capo al medico di medicina generale. In alcune strutture è previsto qualche educatore e assistente sociale.
Si può vivere per anni in simili condizioni: lo smarrimento è sicuro, le autonomie si perdono, con evidenti segni di abbandono e depressione. Attenzione alle piaghe da decubito. La speranza è che non tocchi a noi, se sopraggiungerà la non autonomia.