Ho letto con curiosità un articolo che, per l’occasione delle Olimpiadi, ha descritto la differenza tra xenofobia e razzismo. L’autore sosteneva la tesi che il nostro popolo non è razzista, ma xenofobo. Non sarebbe razzista perché non avrebbe mai elaborato una ideologia che esaltasse la nostra razza come superiore ad altre, né addirittura, come in altre culture, ha mai determinano le caste. Sarebbe invece xenofobo per il terrore dell’invasione di popoli diversi, capaci di intaccare la propria identità. La xenofobia sarebbe peggiore perché giocherebbe sulla paura.
Ritornando alla realtà sociale esiste una mistura di razzismo e xenofobia che permea la cultura profonda del convivere. Le discriminazioni avvengono all’interno della stessa razza: nord e sud, lavoratori e nullafacenti, giovani e ricchi, malati e sani. La paura è frutto di ignoranza e inesperienza, frammista al disprezzo di altri popoli ritenuti inferiori per livelli d vita, per istruzione, per indole. Nel profondo credo prevalga un senso di superiorità ingiustificata. Per sentirmi migliore abbasso la stima nei confronti di terzi, salvo alcune caratteristiche che non permettono disuguaglianze. Chi è ricco non è discriminato perché rivela, al di là della razza, un valore superiore. Il campione dello sport può essere di qualsiasi razza, così lo scienziato, il romanziere, l’attore. I giudizi cambiano di fronte alle necessità: i bimbi stranieri sono utili contro lo spopolamento delle scuole; i lavoratori nell’agricoltura sono indispensabili per la mancanza di manodopera, i giocatori di calcio possono essere di tutte le nazioni del mondo.
Razzismo e xenofobia ritornano nelle considerazioni di interessi: di fronte alle necessità si cambiano pregiudizi e sospetti. L’unica arma contro le differenze è il rispetto dell’altro che vale per ogni luogo di nascita, per ogni istruzione, per ogni capacità che esprime. Infatti, nella globalizzazione degli scambi di beni il consumatore è attento alle qualità delle materie e al prezzo conveniente. Dove il bene sia stato costruito non importa. Chi l’abbia prodotto e a quali condizioni nemmeno. La riuscita del prodotto risponde solo al termine finale che il consumatore stabilisce, rifiutando percorsi e responsabilità. Il razzismo e la xenofobia scompaiono d’un tratto perché altri parametri accontentano l’ultimo anello della catena produttore-consumatore.