Le notizie di cronaca aggiornano quotidianamente sulla morte di ragazzi, tragedie che possono essere dichiarate inutili. Sono due i grandi capitoli dei lutti: la velocità di mezzi di trasporti (auto e moto), gli scontri tra piccoli gruppi o bande che si sfidano. Una contraddizione evidente tra l’immaturità di giovani poco più che adolescenti e la sfida della vita.
Fortunatamente i ragazzi e le ragazze oggi sono cresciute e seguite con molta attenzione: scuola, famiglia, ambienti hanno allungato l’adolescenza. Dicono che in società povere non esiste l’adolescenza: un’invenzione delle culture benestanti che non immettono alla vita quanti hanno superato la fanciullezza. L’adolescenza, se prolungata, è una brutta bestia. Non c’è cattiveria nei gruppi che si ritrovano, ma spiritosaggine, sfide, gioco in un mix nel quale gli adulti, compresi madri e padri, non si ritrovano. Hanno un loro linguaggio e loro riti: nulla di organico, ma improvvisazioni e sfide, anche quelle impensabili, perché stupide.
Eppure, proprio per dimostrare la loro presunta maturità, finiscono nella tragedia. Auto piene di giovane che si capovolgono o incappano in un incidente frontale. L’inasprimento delle regole di circolazione non impedisce le tragedie. Con l’aggravante che a morire in incidenti stradali, a volte, sono più di uno. L’altro ambito pericoloso sono le sfide tra faide: sportive, di quartiere, paesane. Una parola, uno sguardo, un apprezzamento sono sufficienti per scatenare l’inferno che può terminare con un dramma. La rissa non si ferma: anzi, a volte, perde la vita chi tenta di sedare lo scontro.
Il paradosso è evidente: i giovani sono curati, seguiti, viziati ma, in risposta, essi rischiano la vita richiamando violenza, coltelli, addirittura la morte. Probabilmente l’errore è a monte: l’incapacità di porre il giovane di fronte a responsabilità crescenti, proporzionati con l’età. Il rischio di relegarli in una fase infantile, quando la coscienza di sé non è più tale, ma tende a sentirsi e ad atteggiarsi da adulti. Il contrasto è violento e produce strappi non gestiti, sia emozionali che di azione.
L’indice di tale paradosso è offerto dalla differenza che esiste tra il singolo giovane e il gruppo. Da soli, soprattutto i maschi, sono paurosi, incerti, timidi. In gruppo diventano aggressivi e violenti in una sfida che è tutta interna al gruppo stesso: quasi una lotta per apparire forte e autorevole. Il guaio è che questa contraddizione si svolge anche in ambiti gioiosi, quale le feste, i balli, il girovagare senza mete.