Due episodi recenti hanno impressionato l’opinione pubblica. Un signore di 71 anni, che viveva da solo, si è lanciato dalla finestra uccidendosi. Gli ufficiali giudiziari si erano presentati al suo appartamento, per uno sfratto esecutivo, essendo moroso per oltre diecimila euro. Aveva una pensione sufficiente per vivere dignitosamente. I vicini hanno parlato di ludopatia. Ha lasciato un biglietto con su scritto “scusatemi non ce la faccio più”.
A distanza di poco tempo è giunta la notizia che un signore aveva ucciso la moglie ottantenne, perché malata di Alzheimer. Sono episodi fortunatamente rari, ma indicano la terribile condizione di solitudine di famiglie sempre più unipersonali. I figli sono lontani; i genitori rimangono soli. Se sono in buona salute riescono a gestirsi. A fronte della degenerazione fisica, i problemi diventano ingestibili. E’ l’assurdo di una tendenza che combatte le malattie allungando la vita, lasciando nella solitudine chi ha ancora speranza di vita. Molti interventi della Caritas riguardano persone anziane sole.
L’evoluzione della vita sociale non rispetta più presenza e solidarietà. Nei piccoli centri il clima di vicinato (non sempre per la verità) aiuta a mantenere un po’ di socialità. Nelle grandi città non è raro il caso di scoprire la morte di qualcuno dopo settimane o mesi. E’ un problema difficile da affrontare: la diffidenza, il rispetto non agevolano l’interesse per altro, che diventa estraneo e fuori dalla propria cerchia di vita. Si invoca lo schema delle famiglie rurali che, essendo stanziali, si conoscevano, si frequentavano e si aiutavano. L’età moderna ha accelerato dispersione e lontananza. L’unico rimedio è il non rimaner soli. Avere amici e amiche, conoscenze; frequentare circoli, gruppi culturali, sportivi, religiosi è l’unica strada per combattere la solitudine.
E’ una tendenza irreversibile: il mondo si è fatto piccolo. I giovani vagano in cerca di lavoro e di futuro. Chi ha trascorso lunghi anni di vita e potrebbe godersi il tempo restante, non può smettere di arrangiarsi. Combattere la solitudine è diventata una necessità, soprattutto nei luoghi dove la socialità è ordinata e programmata. Se poi la salute è precaria c’è lo spettro del ricovero che, per motivi economici e disumani, riducono le persone a semplici utenti, offrendo l’indispensabile per attendere la morte. Una fine ingloriosa e disumana.