Il commento del Giovedì è in ritardo questa settimana per il grave lutto della morte di don Franco Monterubbianesi, fondatore della Comunità di Capodarco. Un sacerdote speciale. Fin da giovane si è dedicato ai disabili. Ha inventato un modello nuovo che gli esperti hanno definito addirittura non “replicabile”. Eppure la sua intuizione si basa su principi semplici.
Aveva incontrato disabili nei treni per ammalati di Lourdes e di Loreto. Gli stessi ragazzi e ragazze gli avevano chiesto qualcosa di più. Partendo dal nulla è riuscito a trovare casa, lavoro, assistenza, relazioni per chi, fino ad allora, era rinchiuso a casa o negli istituti dal titolo “terapeutici”, ma che in realtà erano cameroni-prigione.
Decise di accogliere le persone senza pregiudizi e senza distinzioni. Non dimenticando sogni e speranze, quali li lavoro, la famigli, la vita sociale. Il progetto ha funzionato, perché da varie regioni, centinaia di ragazze e ragazze confluirono a Capodarco. Il sentire sociale aiutò la realizzazione della Comunità. Molti ragazze e ragazzi si dedicarono all’opera “sociale” come volontari, distinguendosi da chi aveva scelto la politica e purtroppo, per alcuni di loro, il terrorismo.
Credeva nella Comunità perché solo insieme si possono creare condizioni favorevoli alla realizzazione dei sogni. E’ un impegno serio perché la convivenza di opinioni e di vita è faticosa. Don Franco ha suggerito uno sguardo a tutte le fragilità di cui i territori lanciano appelli. Non solo nazionali, ma anche internazionali. Una lezione seria, pratica, utopica, ma anche realizzabile.
Si dice che i tempi sono cambiati ma le fragilità restano. Una brutta aria si avvicina nella nostre vite: chi non è a posto non viene considerato, anzi colpevolizzato. Eppure la civiltà di una nazione si misura sulla capacità delle non discriminazioni, garantendo la vita dignitosa e felice per tutti. Continuiamo nel nostro impegno in Italia e nel mondo. Le generosità esistono: occorre pazienza e costanza nel coltivarle.