“Non più abbracci ma dialoghi”: la nuova vita della Comunità La Bussola

Tra i percorsi più delicati per gestire e superare l’emergenza coronavirus vi è quello delle comunità di accoglienza rivolte ai giovani in situazioni di disagio. A Porto San Giorgio nella Comunità educativa “La Bussola” realtà per minori della Comunità di Capodarco di Fermo, vi sono dieci ragazzi, dai 14 ai 21 anni, a rischio dipendenza o inseriti in percorsi di giustizia riparativa. Il responsabile della struttura, Paolo Mazzaferro, ci racconta come educatori e ragazzi stanno vivendo questa situazione e come è stata affrontata l’emergenza fin dall’inizio.

La “nuova vita”

“La nostra comunità ha puntato in un primo momento su un’informazione completa (ma non allarmista) rivolta ai ragazzi presenti in struttura. Informazione vista come strumento educativo tout court, ovvero come espediente per una presa in carico del proprio progetto di vita anche di fronte a questa nuova situazione. “Nuova” è un aggettivo che, oggi, assume una diversa declinazione nel nostro mondo. Un altro shock biografico all’interno dell’arco di vita dei ragazzi, un’ulteriore messa alla prova rispetto l’imprevedibilità della linea cronologica che hanno faticosamente gestito per poi ritrovarsi da noi che siamo per loro degli estranei. È necessario riconoscere questo aspetto, soprattutto in questo momento storico. Dei ragazzi che non hanno potuto decidere se entrare o meno sono stati accolti da educatori che non hanno scelto e con compagni di “viaggio” che non conoscevano. Ognuno, ovviamente, con un proprio bagaglio esperienziale diverso e diversi modi di “stare al mondo”. È in questo contesto che subentra l’annuncio degli esperti di un nuovo virus mondiale che uccide centinaia di persone al giorno, ed è in questo “micro-cosmo” che si costruisce (o meglio, co-costruisce) un nuovo (e per alcuni anche il primo), modo di stare insieme“.

“Si è cominciato fin da subito – spiega Paolo Mazzaferro – a lavorare con la distanza interpersonale, come coinquilini degli stessi spazi è venuta alla luce la scoperta di alcune regole implicite che non erano mai emerse fino a quel momento. La difficoltà dei ragazzi è risultata chiara fin dall’inizio, ovvero quel “non posso quindi devo” e l’accentuazione della volontà di avvicinamento, di corporeità, di contatto con l’altro che oggi hanno un valore diverso, da strumento educativo a potenziale nocivo”.

Tradurre i gesti in parole

“Ci è sorta una domanda: può, nel giro di qualche ora, essere messo in discussione un elemento così centrale all’interno delle nostre mura (la corporeità) e, allo stesso tempo, abbiamo come equipe quella forza di delegittimarlo così come ci viene imposto dai vari decreti? Abbiamo avuto bisogno di una ri-traduzione, di veicolare in modo nuovo queste informazioni non decostruendo ma implementando quello che già c’era. In un primo momento abbiamo voluto ridefinire la situazione, informando i ragazzi costantemente sui possibili rischi che avrebbero corso nell’avvicinarsi a noi senza però sminuire l’obiettivo dell’atto, nucleo di enorme valore all’interno delle relazioni inter ed extra comunitarie. Questa “impossibilità dell’abbraccio” è stata veicolata in una possibilità “altra”, ovvero in una traduzione del gesto in parola. Abbiamo notato come lo sforzo di trasformare il gesto in dialogo abbia portato, come diretta conseguenza, ad un aumento dei colloqui con i ragazzi, al ri-direzionare “l’io e te nello stesso spazio” in un “noi” scevro di fisicità ma comunque pregno del significato originale che avrebbe avuto l’atto, ora tradotto in parole. Questo ha avuto enormi ripercussioni all’interno delle diverse biografie dei ragazzi, più puntuali verso il rispetto delle norme ma sicuramente più analitici nel leggere ed esprimere i propri bisogni, i propri progetti, i propri sogni”.

Nuove vie nel rapporto genitore-figlio

“In questo “mondo nuovo” – prosegue Paolo Mazzaferro – abbiamo introdotto la possibilità delle videochiamate con le famiglie, le quali oggi assumono simile carattere rispetto ai colloqui che vengono fatti con gli educatori: si è distanti fisicamente ma ci vediamo, lo capiamo, ci rispettiamo e progettiamo il futuro insieme. In parallelo i genitori vengono comunque sostenuti anche dagli operatori in turno: abbiamo lasciato la possibilità di informarsi rispetto il percorso dei figli, di poter svolgere dei colloqui con noi per via telefonica poiché l’idea di co-costruzione non finisca con noi, ma sia il punto di raccordo anche nel darsi “nuove vie” anche nel rapporto genitore-figlio”.

Un ritorno al “giusto”

Per concludere il responsabile della Comunità La Bussola riflette su ciò che sarà, sulla quotidianità da riprendere in mano quando l’emergenza sarà alle spalle. “Sinceramente mi auguro non ci sia un ritorno alla normalità, perlomeno se queste sono le premesse nella nostra struttura. Non è possibile linkare il “normale” con “giusto”, normale come “deve essere così” o ancora peggio “è sempre stato così”. La situazione ci permette di rileggere ciò che siamo all’interno di un contesto altro, avendo così la possibilità di migliorare quelle “tentate soluzioni” che, spesso, non hanno prodotto i risultati sperati. Magari ci permette di continuare a sbagliare, ma facendolo in modi nuovi, criticizzando quello che è “sempre stato così”. Spero il futuro ci riservi tanti nuovi abbracci, i quali non saranno più gesti “muti” ma parola che si fa atto, significato che prende vita”.