Più di un miliardo di persone vive nel mondo con qualche forma di disabilità, circa al 15% della popolazione. Un trend in ascesa rispetto al passato: negli anni ‘70 questa stima era infatti intorno al 10%. Per loro l’Onu ha proclamato nel 1981 la Giornata internazionale delle persone con disabilità, che cade ogni 3 dicembre, con lo scopo in particolare di promuovere i diritti e il benessere dei disabili. Lo ricorda la Caritas Italiana che in questa occasione pubblica online il 53° dossier con dati e testimonianze dal titolo “Prendersi cura. Inclusione, il vero bisogno speciale”, un focus soprattutto sulla condizione delle persone con disabilità nei Paesi dei Balcani Occidentali (Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Montenegro, Serbia).
La disabilità e il disagio mentale spesso si accompagnano a pregiudizi, paura, inquietudine. “Tali condizioni sono causa ed effetto di povertà: le persone con disabilità sono soggette a discriminazioni e a mancanza di pari opportunità che producono una limitazione alla partecipazione sociale e violano i loro diritti umani. Molto è stato fatto negli anni, ma la complessità della disabilità e la sua continua trasformazione ci invitano continuamente a non fermarci. Bisogna continuare a lavorare, per promuovere comunità più accoglienti, attente, capaci di intercettare e accogliere quei bisogni”, sottolinea l’organizzazione.
Secondo una ricerca Unicef del 2014 in Bosnia ed Erzegovina circa il 45% degli intervistati non permetterebbe ai propri figli di essere amici di bambini disabili. Visto anche il grande stigma a livello sociale, unito alle problematiche condizioni economiche del Paese, l’istituzionalizzazione dei disabili è piuttosto diffusa. Tutti questi Paesi dei Balcani Occidentali infatti hanno ereditato dalle politiche sociali socialiste un approccio medico e riabilitativo alla disabilità, con un’enfasi sull’istituzionalizzazione diffusa ad opera dello Stato. L’approccio alla disabilità è dunque prevalentemente di tipo medico: i disabili hanno dei problemi che devono essere risolti grazie all’aiuto di figure professionali. Nonostante siano passati decenni dal crollo dei regimi comunisti e le pressioni dell’UE, molte persone rimangono segregate nelle istituzioni totalitarie e manca, nella regione, un sistema alternativo di cura.
“Vanno costruite esperienze locali nelle quali si mettano al centro l’ascolto, le relazioni, i legami profondi – tutti elementi che rendono possibile l’apertura verso chi è diverso, consentono di allontanare la paura a esprimere le difficoltà proprie o dei propri familiari. – ricorda il rapporto – Vanno creati spazi fisici, in cui poter sperimentare l’incontro con l’altro, trovare protezione. Lavorare nel settore della disabilità stimola dunque continuamente la creatività, la ricerca di soluzioni nuove, la sperimentazione di percorsi più adatti ai singoli contesti territoriali”.