L’Italia è un Paese di immigrazione ormai da 40 anni. Ma non è ancora riuscita a creare percorsi di integrazione. E l’accoglienza, quando si è di fronte all’arrivo di migliaia di persone, entra in difficoltà. È quanto sostiene don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore Sociale, in uno degli editoriali ospitati nel Dossier Statistico Immigrazione, presentato oggi a Roma e Milano. Don Vinicio mette in luce le lacune, le contraddizioni e gli errori finora compiuti da un Paese e da un’Unione Europea che stanno cercando di risolvere il problema degli sbarchi delegando il “lavoro sporco” a terzi, ossia alla Libia, con gravi implicazioni sul rispetto dei diritti umani dei migranti. Non solo. “L’Italia ha accolto le persone provenienti dall’Africa con un complesso sistema -ricorda il presidente della Comunità di Capodarco-, che ha previsto prima il salvataggio in mare, quindi la raccolta delle domande di protezione e poi la distribuzione dei richiedenti o in strutture Sprar o in Cas sparsi sul territorio nazionale”. Un meccanismo “più volte entrato in difficoltà” e che è stato in grado di ospitare solo la metà delle persone arrivate, mentre le altre o hanno proseguito il loro viaggio verso il nord Europa o vivono in strada in Italia, molte da irregolari visto l’alto numero di domande di asilo respinte.
Ma se l’arrivo via mare dei profughi è stato gestito solo in un’ottica emergenziale, non c’è stata nessun progetto di integrazione anche per chi è arrivato negli ultimi decenni attraverso altri canali e, quasi sempre dopo un periodo da irregolare, è riuscito ad ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricongiungimento familiare. Questi migranti (che sono la maggioranza), definiti “economici”, hanno realizzato “un’integrazione spontanea“, visto che non c’è una politica organica nazionale sull’integrazione. E il paradosso, è che questi immigrati ora vedono, per i propri figli, “il disconoscimento giuridico della loro appartenenza al paese in cui li hanno fatti nascere o arrivare da piccoli, sperando in una loro migliore realizzazione”. È come se l’Italia non volesse fare i conti con la realtà, volesse negare ostinatamente di essere un Paese di immigrazione e che tale fenomeno va governato. Con il risultato di creare tensioni. “Non possono essere ignorate le frizioni e le reazioni di rigetto che un numero consistente di persone sbarcate producono, essendo spesso lasciate allo sbando, senza permesso di soggiorno e senza prospettive”. “La mancanza di casa, di redditi, di occupazione diventa una polveriera -sottolinea don Vinicio Albanesi-, su cui quasi quotidianamente si accendono esplosioni dolorose, sia per chi le innesca sia per chi ne è vittima”.