In tv una Messa dalle periferie geografiche ed esistenziali: don Vinicio Albanesi celebra l’Eucaristia domenicale nella sua parrocchia di Fermo

foto: Stefano Dal Pozzolo

foto: Stefano Dal Pozzolo

Sarà trasmessa domattina, in diretta su Rai Uno, la Messa domenicale presieduta da don Vinicio Albanesi nella sua parrocchia di San Marco alle Paludi in Fermo, con la regia di Dino Cecconi e il commento di Orazio Coclite.

Dal ’94 responsabile nazionale della Comunità di Capodarco, che conta in 10 regioni 14 comunità residenziali aperte a persone emarginate e in difficoltà, don Vinicio da trent’anni è anche abate-parroco di San Marco. «Il desiderio di una parrocchia era salito in proporzione di come la vita mi portava spesso lontano dalla terra dove ero nato e dove vivevo. Probabilmente gli anni dei viaggi, delle conoscenze, del mondo complesso delle comunità di accoglienza avevano acuito il bisogno di una tana – racconta il sacerdote settantenne nel volume La finestra sulla strada, edito da Ancora –. Se la vita quotidiana era compensata dal vivere all’interno di un gruppo coeso e accogliente come la comunità, il desiderio di essere prete, con funzioni ufficiali, mi spinse a chiedere espressamente all’arcivescovo una parrocchia. Bisognava fosse vicina, piccola di dimensione, non troppo impegnativa. Il pensiero cadde su San Marco alle Paludi, poco distante da Capodarco».

Vi approdò nel settembre del 1984: «La parrocchia era piccola, con una casa canonica sgangherata, la chiesa bisognosa di restauro. Una parrocchia di transito, vicino alla città, ricavata dal territorio più grande della parrocchia di Santa Maria di Capodarco. Non avevo aspirazioni di grandezza; mi bastava così com’era. Per questo vi andavo volentieri, con l’intenzione di restarci».

«In comunità, pur celebrando ogni domenica, non avevo voluto mischiare le funzioni di responsabile dell’organizzazione e contemporaneamente quella di padre spirituale – precisa –. Ho rispettato la distinzione che ancora vige in seminario, dai tempi del Concilio di Trento, tra rettore e padre spirituale: in termini di diritto canonico, non confondere il foro esterno con il foro interno. Né ho mai considerato la comunità una parrocchia. La libertà di coscienza per chi vive in comunità era un principio sacrosanto da rispettare, senza forzature e costrizioni».

«Avrei voluto fare il parroco come tutti: rispettare, non creare divisioni, aiutare chi avrei potuto, credere e accompagnare la coscienza delle persone adulte, considerandole consapevoli e responsabili. Avrei battezzato, celebrato l’eucarestia ogni domenica, fatto il catechismo, assistito i matrimoni, celebrato i funerali». Un desiderio che si attua da tre decenni.