“I laici non possono essere né sudditi né chierichetti”: don Albanesi a Tv2000

La copertina del nuovo libro di don Vinicio Albanesi

La copertina del nuovo libro di don Vinicio Albanesi

ROMA – “Ho notato un grande distacco tra la vita dei fedeli cristiani che stanno nei territori e questo apparato lontano, a volte incomprensibile, un po’ falso, farisaico?”. Così don Vinicio Albanesi ha sintetizzato la scelta di scrivere il volume Il sogno di una Chiesa diversa. Un canonista di periferia scrive al Papa, edito da Ancora; lo ha presentato questo pomeriggio in diretta su Tv2000, la rete della Conferenza episcopale italiana. “Per una cosa strana della vita ho studiato Diritto canonico alla Gregoriana e ho insegnato quarant’anni diritto canonico. Come conciliare questo con la vita di prete di strada? È possibile”.

Il sogno di don Vinicio? “Riportare al livello del Vangelo gli organismi e le autorità che sono nella Chiesa”, afferma. E questo sogno forse è arrivato fra le mani di Francesco: “Avevo vari metodi per far arrivare il libro al Papa, ma ho scelto quello più semplice: ho preso una busta, ho scritto una breve lettera di presentazione e gliel’ho spedito. Lo stile è questo”. E ancora: “I laici non possono essere né sudditi né chierichetti, quindi partecipino attivamente e non si lascino soggiogare. Una stagione non solo positiva per i laici: una persona battezzata è colui che in nome del Signore può pregare, fare da giudice, fare catechismo, amministrare i beni e fare molto di più di quello che noi preti gli abbiamo impedito di fare”. Dal Sinodo per la famiglia, al via il prossimo 5 ottobre, “mi auguro che venga fuori un dialogo. Noi preti che siamo in frontiera siamo accanto alle persone e quindi vediamo i drammi. Non è possibile che il coniuge innocente, che subisce la separazione o il divorzio, venga allontanato dall’Eucaristia”, ha osservato don Albanesi.

“Il Signore predicava, guariva, ammoniva, ma si commuoveva, viveva. Chiesa da campo è l’umanità che a volte ti chiede aiuto, consiglio, conforto, perdono. Se tu ti arrocchi nel rito, nelle cose stantie…”, ha rilevato don Albanesi, osservando: “L’organizzazione della Chiesa è troppo clericale, verticistica e fatta di persone celibi. Questa cupola va distrutta, perché la Chiesa è il popolo di Dio, che certo ha bisogno di una guida. Ma se ce l’hai tetragona e distante… Quindi auspico un cambiamento delle strutture, dalla Curia romana fino alle parrocchie. Se io ti offro uno schema in cui il mio essere prete dipende ed è in continuo contatto con il popolo del Signore, ho individuato nel sinodo permanente – un insieme di persone coniugate e no – quello che gestisce la vita della Chiesa. Nel Codice di diritto canonico abbiamo ridotto i battezzati a sudditi. Deve essere l’alto che cede, altrimenti il suddito non è degno di parola. La prima cosa che ti dicono è che non sei ortodosso”. La gerarchia – ha aggiunto – “è principio di unità, ma accanto alla gente, al popolo di Dio. Io sono guida, parroco, ma in alcuni momenti vado supportato e anche ripreso, perché non sono infallibile”.

Il presidente della Comunità di Capodarco ha poi raccontato di incontrare “tutti i giorni” persone come Giobbe, cioè sofferenti: “Ci sono circostanze in cui il male sembra accanirsi con una persona, una famiglia, una storia. In quel momento viene naturale invocare Dio con forza, con grida. Ho incontrato una ragazza disabile grave che mi ha detto: ‘Non ho mai pregato una volta di guarire, perché nonostante la mia invalidità posso lodare Dio’. Ma questa è un’eccezione. Di fronte al grido bisogna stare in silenzio e non commettere l’errore di dare risposte che uno non ha, perché il dolore è un mistero legato al limite”. Invece, davanti al “teatro” di chi si lamenta senza averne un serio motivo, “l’unica risposta è l’ironia. Non sei ricco, non sei giovane, ma sei sano: goditi la vita (noi preti diciamo poco questa frase), quello che hai, e sii felice”. “Siamo impermeabili al dolore degli altri?”, incalza il conduttore Gennaro Ferrara. “Partecipare al dolore significa partecipare alla vita dell’altro. Se ci sono legami affettivi e famigliari, viene naturale, ma se una persona è estranea, viene facile voltarsi dall’altra parte”.