Disabilità grave e Covid-19: “la sfida in salita delle famiglie”

Tra le realtà che hanno dovuto sospendere il servizio a causa dell’emergenza coronavirus c’è la comunità Sant’Andrea, il Centro diurno con sede a Capodarco di Fermo che accoglie disabili gravi in regime semi-residenziale. Una vera e propria famiglia allargata, abituata a relazioni e contatti quotidiani, che oggi è costretta a vivere separata per affrontare al meglio una battaglia difficile. A raccontare la situazione surreale che stanno vivendo ospiti, famiglie e operatori è la coordinatrice del Centro, Sonia Postacchini.

Distanti ma vicini è lo slogan o l’hashtag che ci accomuna e che è entrato a far parte di ognuno di noi al tempo del coronavirus. Oltre 40 sono i giorni in cui la domanda più frequente che le famiglie mi rivolgono è sempre la stessa: “A quando la riapertura del centro?”, “ A quando un po’ di respiro?”. I ragazzi accolti – racconta la coordinatrice del Centro – sono persone che hanno bisogno di una continua e totale assistenza socio-sanitaria: per alzarsi, per vestirsi, per lavarsi, per mangiare hanno bisogno di qualcuno vicino. Impossibile stare a distanza. Sono dieci i ragazzi accolti alla comunità Sant’Andrea, di cui uno, per esigenze familiari, è inserito presso la comunità di Capodarco di Fermo in regime residenziale già da qualche anno. Tutti gli altri sono a casa accuditi dalle proprie famiglie”.

Proprio queste ultime si trovano a sorreggere il peso di una situazione anomala e i più in difficoltà sono quei genitori in età avanzata. “Devono sostenere uno sforzo straordinario per proteggere loro stessi dal virus – spiega Sonia Postacchini -,ma soprattutto per proteggere i propri figli dal pericolo del contagio. Figli che, oggi più che mai, vivono una situazione di fragilità in quanto colpiti da patologie multifattoriali e per le quali è richiesta un alto carico assistenziale. I genitori mi riferiscono attoniti al telefono la loro paura di contrarre il virus, ma soprattutto la paura di trasmetterlo ai propri figli già provati da patologie complesse. Sono madri e padri soli, costretti ad affrontare l’ennesimo problema ora in quarantena. Andare a fare la spesa è già uno degli ostacoli da affrontare, anche se una o due volte a settimana. Per non parlare dell’uscita alla farmacia. A farla da padrone è la paura. Paura, sgomento e incertezza anche quando si sente che al di là del nostro Paese qualcuno ha già pensato addirittura a una selezione per curare chi viene affetto da coronavirus (art. AVVENIRE, 25 marzo 2020). Ancora una volta per chi vive con un figlio disabile grave la sfida è in salita”.

Con le nuove tecnologie (chat e videochiamate) e la disponibilità degli operatori si è cercato in ogni modo di ridurre il più possibile le distanze: nella straordinarietà della situazione la risposta ai bisogni reali delle famiglie, soprattutto quelle più in difficoltà, è stata infatti attuata con l’assistenza sanitaria a domicilio che alcuni operatori svolgono grazie ad un accordo tra la comunità di Capodarco e l’Asur 4.

C’è stato un episodio che vale la pena di raccontare – conclude la coordinatrice del Sant’Andrea -. Di solito il risultato del lavoro con persone con una disabilità severa è quasi impercettibile, o per lo meno i risultati possono apparire velati, incerti e poco comprensibili agli occhi dei meno esperti. Ma questa volta per tutti noi ci ha portato un grido di gioia: una ragazza, affetta da una forma di autismo, non appena ha ricevuto a casa propria un operatore, per l’assistenza domiciliare, lo ha riconosciuto e si è messa subito in posizione, come se si trovasse nella stanza della comunità Sant’Andrea. Un piccolo gesto che va oltre le parole, oltre l’emozione, e che dà senso al lavoro svolto con passione e dedizione. Anchel’utilizzo delle nuove tecnologie, ci ha permesso di avvicinarci tutti: non sono state interrotte le riunioni di équipe degli operatori sanitari e degli educatori così che siamo riusciti a mantenere vivo il contatto – anche se virtuale – con i ragazzi. Una telefonata, una videochiamata, un messaggino wp, mettersi in ascolto e suggerire piccoli consigli pratici a genitori che chiedono: “quando finirà tutto ciò?”, è la risposta possibile, anche se non sufficiente,  per supportare la gestione quotidiana di chi necessita di bisogni primari, e per tentare di abbattere le barriere della solitudine e dell’abbandono. Perché la dignità di ciascuno non dipende dall’uso dei cinque sensi”.