Disabili al lavoro, segnali positivi (ma la pandemia ha interrotto il trend)

Il quadro dell’occupazione lavorativa delle persone con disabilità era nettamente migliorato fra il 2016 e il 2018, raggiungendo livelli di applicazione della legge sul collocamento mirato che non si erano storicamente mai raggiunti prima. La pandemia da Covid-19 ha però interrotto questo trend positivo, anche se ci vorrà del tempo per valutare dettagliatamente l’effettivo impatto su una categoria che peraltro già in tempi normali è particolarmente esposta al rischio esclusione.

Nel frattempo, la nona Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 68/99 per il diritto al lavoro dei disabili ci permette quanto meno di avere una fotografia della situazione pre-crisi Covid. Il documento che Redattore Sociale qui sintetizza restituisce uno scenario che nel triennio 2016-2018 conferma la crescita occupazionale su tutto il territorio nazionale che si era potuta intravedere già nel precedente biennio 2014-2015. Certo, non mancano le consuete luci ed ombre che caratterizzano l’attuazione del collocamento mirato in Italia: innegabili sono in particolare le lacune infrastrutturali, anche se laddove si adottano modelli di integrazione dei servizi e delle risorse finanziarie si riescono anche ad ottenere risultati discreti.

La relazione racconta di un numero verificato di 730 mila iscritti a fine 2018 al collocamento mirato (con una stima nazionale complessiva di oltre 900 mila): più uomini che donne, sei su dieci al Sud o nelle Isole, per la gran parte invalidi civili, oltre la metà immediatamente disponibile a svolgere attività lavorativa. A fronte di ciò, nel 2018 gli avviamenti al lavoro comunicati sono stati poco meno di 40 mila: un numero in salita rispetto ai 35 mila del 2017 o ai 28 mila del 2016, e che può essere spiegato, secondo la Relazione, anche con gli interventi attuati con la riforma del lavoro (D.Lgs. 151/2015) che ha reso obbligatoria, per i datori di lavoro privati che occupino da 15 a 35 dipendenti, l’assunzione di un lavoratore con disabilità. Obbligo inizialmente previsto solo in caso di nuove assunzioni e che è invece entrato in vigore per tutte quelle aziende proprio nel corso del 2018.

La stima complessiva degli avviamenti, che mira a comprendere anche quelle province che non hanno risposto alla rilevazione dei dati e per le quali dunque non sono disponibili dei numeri, parla di un totale degli avviamenti a quota 45 mila e di un totale delle assunzioni a quota 62 mila: un numero questo che è nei fatti triplicato rispetto alle neppure 21 mila assunzioni dell’anno 2013, nella fase più buia della crisi occupazionale.

Nel quadro complessivo non si possono tacere i dati sulle risoluzioni dei contratti di lavoro, che nel settore privato sono oltre 33 mila nel 2016, quasi 36 mila nel 2017 e quasi 37 mila nel 2018, in maggioranza – come ovvio – riguardanti contratti a tempo determinato. La Relazione sottolinea però che anche fra i tempi indeterminati ci sono state 3 assunzioni ogni 2 risoluzioni (e 5 assunzioni ogni 2 risoluzioni nell’apprendistato). Seppur in una tendenza positiva, quindi, la Relazione precisa che le cifre “restano largamente insufficienti per coprire le richieste e le aspettative espresse dalle persone con disabilità” che cercano un lavoro. A maggior ragione se si considera che del mezzo milione di posti di lavoro che fra pubblico e privato erano per legge riservati alle persone con disabilità, alla fine del 2018 ne risultavano scoperti oltre 145 mila, due terzi dei quali al Nord (anche se, come sempre accade, la Relazione fa notare come si tratti di una fotografia dei posti scoperti in un dato momento – 31 dicembre 2018 – che non rappresenta la dinamicità degli andamenti nel corso dell’anno). E’ in ogni caso la dimostrazione che i passi avanti compiuti, per quanto importanti, raccontavano comunque una realtà in sofferenza, e su cui si innestano poi gli effetti negativi della pandemia, che dovranno essere attentamente valutati.

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