Covid e disagio mentale, il dott. Scarabelli racconta come è cambiata la vita comunitaria

Una riflessione da chi vive la quotidianità di una struttura residenziale per disabili psichici al tempo del Covid-19. Eugenio Scarabelli è psicoterapeuta e coordina ormai da diversi anni l’area clinico-riabilitativa della Comunità San Girolamo di Fermo, struttura legata alla Comunità di Capodarco che oggi accoglie 40 persone e nata nel 1999 con la presa in carico degli ultimi pazienti manicomiali sul territorio. In una nota Scarabelli ha fornito un quadro quanto mai attuale sull’impatto che il Covid ha avuto su questa realtà e sul suo lavoro, profondamente cambiato con l’arrivo della pandemia. Spunti e riflessioni, talvolta anche amare, che vi proponiamo di seguito.

La sede della Comunità San Girolamo

“Non ho mai ricevuto tanti insulti per le mie opinioni su facebook, come da quando c’è questa malattia – inizia così la lettera del dott. Scarabelli. “Credo che il Covid ci abbia cambiati, ha cambiato la nostra esperienza della vita e della realtà. L’isolamento e il distanziamento ci ha cambiati, ha reso più esasperati e cattivi coloro che non possono fare a meno di aggrapparsi alla vita esterna e del mondo pur di sopravvivere. Coloro che non sono abituati a cercare dentro la via della sopravvivenza e della vita. Da 10 mesi il mio lavoro in Comunità è molto cambiato. Vedo persone con disturbo psichiatrico che prima erano almeno serene, diventare via via più ansiose o depresse, ossessionare la loro mente con piccoli appigli come il caffè. Fare azioni eccessive, inutili e disperate come fuggire verso non si sa bene cosa e tutto questo perché, da 10 mesi ad oggi, la vita in Comunità ha dovuto cambiare profondamente per via del Covid”.

Eugenio Scarabelli

Scarabelli che prosegue: “Abbiamo dovuto cambiare nel profondo i principi secondo cui lavoravamo e che non avevamo mai accettato di cedere. La libertà e il rispetto dei bisogni della persona se ne sono dovuti andare a farsi benedire, di fronte all’esigenza primaria di salvare questi ospiti dalla malattia che stringendo a tenaglia tutto il mondo. Abbiamo dovuto chiudere le uscite libere, quelle che evitavano ad un ambiente psichiatrico di sembrare e di restare tale. Abbiamo dovuto chiudere gli ingressi di amici e famigliari, che erano la linfa su cui c’eravamo sempre appoggiati per fare di un luogo chiuso, uno aperto. Per rendere un’istituzione una casa di accoglienza e vicinanza, dove sostare piuttosto che essere rinchiusi. Il Covid ha reso difficile per molti portare a termine il loro percorso e così alcuni sono fuggiti per poi andarsi a rinchiudere in casa, senza nemmeno il conforto della vicinanza o delle attività educative. Altri, pur non fuggendo fisicamente, sono scappati via dai progetti che avevamo fatto con loro, tornando ad aderire a vecchi modelli di comportamento fatti di gocce e terapie al bisogno per arginare i fantasmi che hanno visto riaffacciarsi nella loro mente. Il mio e il nostro lavoro sembrano sempre più insufficienti :sia perché anche noi siamo messi a dura prova da 10 mesi di vita differente, quasi senza amici e ristori (non quelli governativi), ma anche perché è difficile rendere ancora credibili le nostre parole di conforto e speranza davanti a un fenomeno che non accenna a placarsi. Ma che anzi rialza la testa ogni volta che qualcuno la fuori si permette il lusso di riprovare un po’ a vivere”.

“Quindi ora non lo so se il vaccino sarà la soluzione” –  prosegue Scarabelli, “ma non posso fare a meno di desiderarlo. Ditemi che “si sono impossessati di me” o che “ce l’hanno fatta a convincermi”. Anche se non so bene a chi vi stiate riferendo, forse avete ragione però io ho voglia di tornare a vivere, per me e per le persone che ho intorno ogni giorno. Ditemi pure che forse con dietro al vaccino così come dietro al virus ci sono strategie complottiste e di controllo, ma spiegatemi pure che cos’altro possono voler sapere della mia vita dopo che già sanno quanto guadagno, come spendo, cosa mi piace e dove vado ogni giorno tempo libero compreso. Con i social che tanto ci divertono è già da tempo che abbiamo svenduto la privacy che tanto invochiamo e che ci ha portato a rendere inefficace la strategia di tracciamento legata ad Immuny, l’app. che avrebbe potuto anche solo un po’, aiutarci a gestire il casino. Ditemi quello che volete ma non credo ci sia molto altro che possono prendere dalle nostre vite, sempre ammesso che qualcuno sia davvero interessato a farlo, oltre a ciò che già non hanno preso o che abbiamo noi stessi accettato di dare: per comodità, pigrizia o socialità. Oggi anche vivendo su una montagna siamo sempre ben connessi con un fuori che è sempre lì come in un grande “The Circle” apparentemente amichevole ma invece pronto in ogni istante a sbranarci. Così aspetto il vaccino e credo sia giusto farlo. Penso sia la strategia migliore perché credo che in ogni situazione si debba sempre cercare di trovare la giusta via di mezzo tra i nostri principi e le necessità: sia individuali che comuni, perché siamo tutti parte di uno stesso corpo”.

Una lettera, quasi uno sfogo, che il dott.Scarabelli conclude così: “La via da seguire quindi è dentro, nel nostro equilibrio e nella ricerca di una soluzione che non ci lasci né identici a prima (altrimenti sarebbe stato tutto inutile), né egoisti. Vaccinarsi non può essere la cosa peggiore in questo momento e non farlo non può non avere ricadute sulla vita di chi ci sta attorno. Non è tanto la malattia a farmi paura, ma l’isolamento che richiede: non imposto ma dovuto, come le migliaia di persone già fragili che sono morte, hanno dimostrato e come dimostrano gli altri fragili cui facevo riferimento prima. Che non sono morti e forse non moriranno fuori, ma che dentro sono davvero già in agonia. Scusate lo sfogo e grazie per l’attenzione”.