“Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima”

Dopo l’Ascensione, la liturgia festeggia la Pentecoste: è il cinquantesimo giorno dalla risurrezione del Signore. E’ l’ultimo episodio narrato della “presenza” del Signore per i suoi discepoli. Il tono usato dall’evangelista Luca è solenne; richiama le grandi teofanie che appellano ala presenza misteriosa di Dio.

Le lingue di fuoco

Le immagini sono caratteristiche delle visioni: «Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi». Leggendo il brano colpiscono due dettagli oltre le “lingue di fuoco”. Le persone parlano lingue sconosciute. Un secondo dettaglio: «Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotàmia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, Romani qui residenti, Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». L’evangelista narra le conversioni già presenti intorno a Gerusalemme. Le lingue sono la dimostrazione di quanti popoli avessero accolto il messaggio di Cristo.

La lezione è evidente: l’opera del Maestro sta ricevendo risposte di conversione oltre Israele. Da qui il linguaggio solenne e visionario del brano

Figli adottivi

«Sei tanto grande, Signore, mio Dio!
Quante sono le tue opere, Signore!
Le hai fatte tutte con saggezza;
la terra è piena delle tue creature.

Togli loro il respiro: muoiono,
e ritornano nella loro polvere.
Mandi il tuo spirito, sono creati,
e rinnovi la faccia della terra».

La Lettera ai Romani di San Paolo, spiega che cosa significa la presenza dello Spirito di Dio: «E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria».

Un messaggio rassicurante, che spiega che cosa significa ricevere lo Spirito. Una visione religiosa che eleva la religiosità a fede fondata in Dio, con le parole e la testimonianza di Cristo, elevata a un progetto di vita. Non si tratta solo di adesione a un’idea, ma l’orientamento di tutta la vita: a partire dalle cose materiali per salire fino allo spirito, dove si completa l’identità del credente. E’ la sequenza (inno) che definisce l’opera dello Spirito.

Dopo aver ricordato che Dio è padre dei poveri, datore dei doni, luce delle genti si descrive, l’opera dello Spirito.

«Consolatore perfetto,
ospite dolce dell’anima,
dolcissimo sollievo.

Nella fatica, riposo,
nella calura, riparo,
nel pianto, conforto».

Si esplicita così una presenza amorevole, una guida sicura, una costante attenzione. L’evangelista Giovanni, nella chiusura del suo Vangelo può dichiarare: «Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto». Il cristiano acquisisce così l’origine della propria fede, può seguire gli insegnamenti di Gesù verso la libertà e la gioia di un sicuro senso della vita.

 

8 Giugno 2025 – Anno C
Pentecoste
(1ª Lett. At 2,1-11 – Salmo 103 (104) – 2ª Lett. Rm 8,8-17 – Sequenza –  Vangelo Gv 14,15-16.23b-26)