La pratica delle arti marziali può migliorare il benessere mentale, aiutando a ridurre ansia e insicurezza, favorendo l’integrazione corpo-mente, il rilassamento, l’attenzione, la comunicazione e l’autostima. Sono tecniche che non insegnano solo il combattimento ma anche come evitarlo, trasformando l’aggressività in energia positiva e potenziando l’autocontrollo. È da questa consapevolezza che è nata a Fermo, nelle Marche, un’esperienza molto originale. Nella Comunità di San Girolamo, servizio residenziale legato alla Comunità di Capodarco che accoglie circa 40 persone con problematiche psichiatriche, Michele Virgili, un operatore con una lunga esperienza nel campo delle arti marziali, ha avviato lo scorso anno un corso di Aikido che coinvolge stabilmente 8-10 ospiti. Le sedute sono condotte con la supervisione dello psicologo della struttura, Eugenio Scarabelli.
“La prima intuizione che quello che avevo imparato praticando le arti marziali potesse essermi utile per aumentare il benessere delle persone accolte nella Comunità – racconta Virgili – l’ho avuta con un ragazzo che ha fortissimi problemi di ansia. Ho pensato di insegnargli qualche mossa per aiutarlo a superare le sue crisi. Quando ha un attacco adottiamo quello che è diventato un rituale: simuliamo un combattimento e questo gli permette uno sfogo ed è un ‘farmaco’ che si attiva attraverso la relazione con me. Questa modalità va ad agire anche sul piano affettivo, scavalcando i momentanei blocchi mentali ed emotivi di slancio”.
Questa “intuizione” si è andata ad innestare in un cambiamento nella logica di gestione della Comunità e della tipologia delle persone accolte. Negli ultimi anni sono entrati molti giovani con una maggiore autonomia e l’esigenza di una vita stimolante e piena. In quest’ottica agli operatori è stato chiesto di portare nel lavoro le loro competenze e i loro interessi, coinvolgendo gli ospiti. C’è chi li porta in montagna a fare passeggiate, chi a fare sport, chi li fa cucinare… E poi le arti marziali.
“L’Aikido può avere grandi potenzialità nel campo della riabilitazione psichica – spiega Eugenio Scarabelli. – Insegna la disciplina, codifica i movimenti, ti riporta dentro un ‘contenitore’. E’ importantissimo per chi lavora con persone con problemi mentali riuscire a ricondurle dentro una struttura”. Per lo psicologo della Comunità “due cardini sono fondamentali per riacquistare il benessere psichico: la riattivazione fisica e la socializzazione”. E le arti marziali “possono fare molto in questo senso”.
“Prima di iniziare abbiamo valutato i benefici biomeccanici, emotivi ed educativi che una simile pratica poteva portare – racconta Virgili. – Le arti marziali stimolano gli schemi motori e riconducono le persone nei confini del proprio corpo. Davanti ad una minaccia, anche simulata, tutto il corpo si attiva in un istinto primario. Io non insegno ad attaccare, ma a togliersi, a difendersi, a mantenere equilibrio e attenzione. Si possono ottenere buoni risultati. sfruttando altri canali di comunicazione più diretti, primari, ‘primordiali’. Attraverso le arti marziali si può aumentare anche la consapevolezza del proprio corpo, migliorare la postura, sostituire automatismi cattivi con automatismi buoni”.
Sul piano mentale invece, “lavoro con persone che hanno bisogno di sfogarsi, di canalizzare la rabbia in qualcosa di buono. In più devono aumentare la loro autostima, l’amore verso se stessi, visto che stanno vivendo da anni una situazione molto difficile. Devono sentirsi ‘interi’. Ora fanno parte di un gruppo di marzialisti. Io li chiamo ‘spartani’”.
Il primo corso si è svolto da ottobre 2018 a tutto maggio 2019, con cadenza bisettimanale e da pochi giorni è iniziato un nuovo ciclo di lezioni.
Ma come si svolgono? “Innanzitutto quando inizia la lezione non è più la comunità ma il dojo (termine giapponese che indica il luogo dove si praticano arti marziali) – spiega Virgili. – Io alleno alla disciplina, alla concentrazione, all’ascolto e uso gli stessi parametri che utilizzerei con persone senza problemi. Se non sei concentrato esci dal dojo. Ora sei un aikidoka non un paziente della comunità”. La seduta inizia con un saluto mutuato dallo shintoismo e una preghiera shinto. Poi un po’ di riscaldamento ed esercizi di coordinazione e l’insegnamento di mini tecniche, soprattutto di schivata. “Sto attento a non trasmettere pratiche dannose – dice Virgili. – Soprattutto insegno a cavarsela evitando il combattimento, a mantenere la concentrazione corporea e visuale e la tengo sempre sul piano del gioco”.
La parte conclusiva della lezione è un “gioco puro”. Un “malcapitato” a turno viene messo al centro e tre persone simulano un attacco contemporaneamente, senza contatto. Tutti aspettano questo momento e si divertono. E’ la verifica di quello che hanno imparato.
Insomma “marziali sì ma tranquilli”, cercando di mantenere l’equilibrio tra il dare autostima e nutrire una componente egoica.
Dopo il primo anno di incontri i riscontri sono stati molto positivi a livello emotivo, della gratificazione umana e dell’interesse. Solo una persona ha abbandonato il gruppo perché troppo sovrastimolata e per problemi pregressi con le arti marziali. Michele Virgili ha intenzione di portare un paio dei suoi allievi a lezione dai suoi maestri.
In Italia ci sono altre esperienze che applicano le potenzialità dell’Aikido al sociale. Per fare un esempio, a Mondovì in provincia di Torino,Alberto Boglio lavora con le persone che hanno la sindrome di Down. Ma, nel nostro Paese, non ci risulta nessuna esperienza con la psichiatria.
“Si tratta di una pratica che può essere utile anche con altre tipologie di problematiche sociali – continua Vigili. – Penso a chi ha una dipendenza da droga e alcol o ai minori tolti alle famiglie. Persone che hanno bisogno di canalizzare l’aggressività, una problematica molto presente anche nei pazienti psichiatrici”.
Prima di iniziare il ciclo di lezioni a San Girolamo Michele Virgili ha tenuto una serie di incontri gratuiti, da ottobre 2016 a maggio 2017, nella Comunità di San Cristoforo di Amandola che si occupa di dipendenze. Anche in questo caso i risultati sono stati positivi. “Il vero lavoro di un operatore, soprattutto quando ci si confronta con i problemi psichiatrici gravi, parte quando realmente riesci a vedere la persona che sta sotto alla malattia. E attraverso il gioco e il corpo questa persona può venire fuori”, conclude Virgili .