Con un linguaggio poetico e naturale, il profeta Geremia distingue tra l’uomo che confida in se stesso l’uomo che confida in Dio. Le espressioni sono naturalistiche: il malvagio «Sarà come un tamarisco nella steppa; non vedrà venire il bene, dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere».
Chi confida in Dio
Chi invece confida in Dio «È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici; non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti». Linguaggi estranei alla nostra religiosità. Eppure gli eventi che riguardano la natura sono ritornati ancora oggi all’attenzione, per il sovrapporsi di siccità e tornadi anche nella nostra terra. Parole vivaci che descrivono adeguatamente il bene e il male.
Il salmo, con descrizione anche più pungente descrive la malvagità umana: «Non così, non così i malvagi, ma come pula che il vento disperde; poiché il Signore veglia sul cammino dei giusti, mentre la via dei malvagi va in rovina».
La religiosità è ancora arcaica: il peccato produce il male; la virtù offre benessere. In realtà la natura segue le sue leggi. La coscienza della non corretta gestione della natura manda segnali di insofferenza e di disastri. Opera umana che non sa gestire adeguatamente la natura che è pure fondamento della sua sopravvivenza.
Il discorso della pianura
Il discorso della “pianura” che l’evangelista Luca invoca per le beatitudini, corrisponde al discorso della “montagna” di cui ha scritto l’evangelista Matteo, con un linguaggio più netto e coeso. L’attenzione di Luca è rivolta alla situazione corrente che egli vive e della quale esorta chi l’ascolta. La beatitudine non è la sottolineatura di ciò che le persone vivono, ma di quanto verrà. Un avvento futuro, quando il regno dei cieli sarà accettato e consolidato. I poveri sono quelli veri: quanti non hanno il sufficiente per vivere e sopravvivere. La sottolineatura è forte, nella seconda parte del discorso della pianura: «Guai a voi ricchi che avete la vostra consolazione, guai a voi che ora siete sazi, perché avrete fame. Guai a voi che ridete, perché piangerete e gemerete. Guai a voi quando tutti gli uomini parleranno bene di voi, così infatti facevano i loro padri ai falsi profeti».
Un discorso di denuncia e di consolazione. Di speranza per il futuro quando il regno di Dio sarà compiuto. L’invito non è solo di futuro, ma anche di presente. La comunità cristiana è chiamata a seguire una linea che non è quella umana, come ricordava il brano di Geremia. La storia della Chiesa racconta che l’attenzione ai poveri è stata attenta sempre: con le opere di carità, con la condanna dei soprusi e delle angherie. Lo stesso Pontefice non si stanca di invocare la pace in momenti drammatici per milioni di persone.
L’invito evangelico non è di tipo politico e sociale: ma di valori e di prospettive. Un invito che va al di là del presente, senza dimenticare la vita concreta. Del resto quando la Chiesa ha direttamente gestito le questioni terrene non è stata indenne da errori e da ingiustizie. La visione spirituale non deve ingannare: la dimensione profonda dell’animo umano spinge a un equilibrio che riguarda tutti, senza esclusione. E’ forse l’obiettivo superficialmente difficile, ma razionalmente è l’unica strada da seguire. La misericordia, la pietà, la condivisione sono le espressioni autenticamente cristiane che danno senso alla stessa umanità. In realtà la convivenza pacifica, rispettosa, paziente, benigna come racconta la prima Lettera ai Corinti è quanto di più nobile si possa immaginare.
San Paolo offre in termini positivi ciò che la spiritualità cristiana chiede:
«La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia,
non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia, ma si compiace della verità.
Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà.
La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia.
Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà».
E’ il sogno e la speranza della beatitudine sulla terra: nel tempo e nello spazio che ci è concesso la strada è ben tracciata.
16 Febbraio 2025 – Anno C
VI Domenica del Tempo ordinario
(1ª Lett. Ger 17,5-8 – Salmo 1 – 2ª Lett. 1Cor 15,12.16-20 – Vangelo Lc 6,17.20-26)