Caro Segretario,
seguiamo a distanza le priorità che nella campagna per le primarie e poi come segretario del PD stai indicando.
Il nostro osservatorio è “speciale”, vivendo la condizione di marginalità, alla completa deriva di politiche centrali e locali, “rese necessarie” (dicono) dalla crisi che sta mordendo in Italia.
Una crisi che sembra essere prodotta da due grandi nodi: quello istituzionale e quello più strettamente economico-sociale.
Metter mano ad ambedue i problemi è indispensabile: alla condizione però che portino maggiore “giustizia sociale”, come una volta si diceva.
Una giustizia che sembra scomparsa a tutto vantaggio di un grappolo di privilegi (quelli della politica non sono i soli) che straborda spesso nell’illegalità, resa possibile anche dalla tolleranza che i privilegiati (legislatori e non) hanno tradotto in norme e consuetudini.
L’infinita discussione sulla riforma elettorale è apparenza: il nocciolo è diretto a chi e come si spartisce il malloppo delle risorse pubbliche e private.
I dati statistici sono crudeli: le persone si curano di meno. È diminuito il gettito dei ticket sanitari; cinque milioni di persone hanno rinunciato al dentista, un milione di bambini sono poveri.
Non solo: le categorie forti o comunque tutelate non cedono di un millimetro. Difendono i propri interessi e nessuna solidarietà viene offerta a chi sta peggio. Si crea il corto circuito che chi ha non molla nulla; chi chiede, rimane fuori dalla distribuzione.
Per qualcuno la crisi non morde affatto; al massimo cresce la paura che i privilegi possano terminare. Né si riesce a trovare il bandolo della matassa.
Le risorse sono da una parte mal distribuite e dall’altra sono sottratte. Due dati: i miliardi dell’evasione fiscale sono molti. Sono risorse di persone e imprese che certamente non vivono nell’indigenza, ma che non sono disposte a solidarizzare, anzi preferiscono commettere reato. L’altro dato – ugualmente ufficiale – dice che la forbice tra ricchi e poveri va allargandosi da almeno dieci anni.
L’idea di futuro non emerge perché tutto è accartocciato nella spartizione del “posseduto”. Sembrano perduti anche gli orientamenti più elementari. L’attenzione è sui numeri dello status quo, dimenticando persone, disagi, sofferenze. Un circolo vizioso che invoca equità e giustizia, ma che nessuno ha la forza di proporre, nell’illusione che, cambiando le regole del gioco, si possa stabilire equilibrio, dimenticando che ogni bilancio è a somma zero.
Nessun messaggio morale è all’orizzonte: dire chiaramente che cosa è ingiusto e che cosa occorre recuperare; chi deve cedere e chi deve avere.
Ciascuno è costretto ad arrangiarsi. Se ha una cintura di solidarietà che gli deriva dalla famiglia, riesce a sopravvivere; chi rimane solo può solo ricorrere alle opere caritative che, in questi ultimi tempi, hanno visto crescere le domande di aiuto.
La situazione è ancora più grave per chi vive un effettivo stato di prostrazione e di immobilità: malati gravi, anziani soli, persone senza reddito. Sono scomparsi i momenti collettivi, ma anche i “sogni”. Si è sclerotizzata una situazione per cui le rendite di posizione sono diventate intoccabili, prevalendo, naturalmente, quelle dei più forti.
Qualcuno – per la verità sommessamente – appella ai deboli perché si facciano sentire: se qualcuno è debole, come è possibile che si faccia sentire?
L’appello, forte e chiaro, va diretto a chi è già tutelato. Se non per generosità, almeno per interesse. Senza la garanzia del vivere collettivo, la maggior parte delle persone rischia grosso.
L’urgenza è forte: in caso di passività assisteremmo a un ritorno indietro nella tutela dei bisogni essenziali. Una condizione che aggreverebbe disuguaglianze e abbandoni.
La coscienza morale e civile non lo permette. Esser segretario di un grande partito richiede la sicurezza che la verità e la giustizia hanno in sé forza travolgente.L’augurio è che tu possa fartene voce: il 70% delle preferenze ti ha detto questo.
Buone feste e buon lavoro,
don Vinicio Albanesi
(foto: Stefano Dal Pozzolo)