“Buttati in un mondo sconosciuto”. La sfida futura? Una vita condivisa

Riccardo Sollini

“In un momento particolare per l’umanità, per il nostro paese, per la nostra Comunità, mai come ora sento così profonda la necessità del sentirsi viciniIl Covid ci ha buttato in mezzo ad un mondo sconosciuto”. Il vicepresidente della Comunità di Capodarco di Fermo, Riccardo Sollini, nel rimettere in mano ai ricordi, in questo spazio dilatato di tempo, delinea un’idea di futuro passando attraverso una riflessione profonda del momento che stiamo vivendo. “Siamo stati scoperti – racconta -, il virus ha tolto il velo che in qualche modo ci faceva sentire protetti. In questa idea di nuova vita asettica, fatta di disinfettante, amuchina e distanza”.

“E’ la proiezione di una umanità che spaventa e la sensazione che alla fine ci si possa abituare anche a tutto questo – prosegue Sollini, – Mi sembra di sprofondare in un mondo sempre più fatto di plastica, di cibi imbustati, di spazi ridotti di vita. Sento tristezza per tutti coloro che vivono in appartamenti alveari. E il pensiero mano a mano diventa più amplio, aprendosi ai paesi lontani dove la Comunità ha avviato progetti e realtà: penso alle case in Ecuador, in Albania, per non parlare dell’Africa, dove probabilmente il Covid riuscirà a portare avanti un abbattimento dei popoli soggiogati dalla mancanza d’acqua, dall’Hiv e in assenza di strutture sanitarie adeguate”.

A NUDO LE STORTURE PIÙ PROFONDE DI QUESTA SOCIETÀ

“Ci siamo accorti di come il concetto di pubblico faccia la differenza, cosa significhi un sistema sanitario che prende in carico e cura tutti. Il virus sta mettendo a nudo le storture più profonde che questa società e soprattutto questo modello economico porta”, prosegue la riflessione. “Mancanza di posti letto, esclusione sociale, solitudine difensiva, sbriciolamento delle dimensioni di contatto umano. Sta mettendo a nudo il sistema politico e allo stesso tempo ha smascherato un’Europa fragile, in cui gli interessi nazionali superano quelli di idea di comunità europea”.

“Negli Stati Uniti, com’era prevedibile, l’ecatombe è diffusa, immediatamente balzati ai primi posti per contagi, per morti. In un mondo che tutto è, tranne quello raccontato dalle serie tv e dalla spettacolarità dello sport. Una società in cui la disparità sociale si tocca con mano, in cui la povertà, la mancanza di accesso alle cure primarie è situazione reale. Le persone muoiono per strada se non hanno assicurazione. L’immagine di Las Vegas con i barboni sparsi nel parcheggio, ognuno in un posto auto per permettere la distanza di sicurezza, rappresentano, nella loro totalità, il fallimento di una società non pronta a farsi carico dell’escluso, ma più abituata a nasconderlo”. Un sistema economico da rivedere nel suo profondo, “in cui la dimensione di attenzione sociale e ambientale diventano necessariamente centrali.”

Per il vicepresidente, l’impatto psicologico che tutto questo ha e avrà “sarà lo spazio più importante su cui soffermarsi in futuro”. E’ la paura dell’altro a spaventarlo “perché nel momento in cui entra la paura di morire, la difesa diventa totale. Occhi aperti anche sulla tenuta democratica del paese, perché in questi momenti affidarsi all’uomo forte diventa facilissimo, perché nel nome della sicurezza siamo disposti a mettere in gioco ogni nostra libertà, siamo disposti, alla fine, ad abituarci a vivere controllati”, confida.

LA VITA CONDIVISA E LA “SOLITUDINE DELL’UOMO GLOBALE’

“La situazione attuale ha solo messo concime a qualcosa che stava già andando in quel senso. La dimensione di isolamento, la ‘solitudine dell’uomo globale’ come la chiama il filosofo polacco Zygmun Bauman, è un fenomeno che è intrinseco al sistema di sviluppo economicoAbbiamo forse la possibilità di modificare questo spazioPossiamo aprire una riflessione anche sul sistema di cura, di come sia necessario trovare sempre più canali di condivisione di progettualità concrete tra soggetti pubblici e privati, in cui la logica del profit viene messa da parte quando si parla di cura della persona”.

“L’opportunità è quella di valorizzare la sfida futura di vita condivisacostruire spazi di contatto e vicinanza umana, riuscire ad essere una spinta per la nostra società verso una sfida di ricostruzione che non è solo economica, ma, io credo, anche identitaria. Siamo dei don Chisciotte – conclude il vicepresidente di Capodarco -, perché pensiamo che la verità oggettiva, quella che vedi davanti, è in realtà una falsità, è qualcosa che non esiste. La verità è tutto ciò che c’è dietro. Bisogna avere la capacità di andare oltre, scavare all’interno, vedere l’anima delle persone e credere di poterle accompagnare nel cercarla insieme”.