All’Arcobaleno il progetto di “sgancio” dei giovani accolti

La comunità “L’arcobaleno”, accreditata e convenzionata con il Sistema sanitario nazionale, accoglie ragazzi dai 18 ai 30 anni con un’età media che si aggira sui 24 anni. “Inoltre la nostra comunità predilige un reinserimento lungo, ossia un lavoro sulle dinamiche relazionali e la sperimentazione dei ragazzi nella società esterna in tempi brevi. Questo perché, dopo un primo periodo di permanenza in struttura, crediamo sia fondamentale lavorare su consapevolezze e stimoli che il quotidiano permette di mettere in evidenza”, evidenzia Riccardo Sollini, responsabile de “L’arcobaleno”, precisando che “il percorso terapeutico è una crescita verso l’autonomia e verso la consapevolezza di sé. Il progetto di sgancio rappresenta lo scalino di sperimentazione esterna, la crescita di autonomia e la costruzione del proprio futuro, senza per questo lasciare da parte la comunità, la clinica e i momenti terapeutici. Si inserisce in un continuum nel quale, fin dal primo giorno, vengono generate le basi per poter lavorare su aspetti differenti e fornire al ragazzo strumenti utili per poter affrontare il quotidiano”.
Vogliamo quindi – prosegue Sollini – che il nostro operato sia in continuo scambio con gli eventi e la realtà esterna, così che il nostro occhio sia attento a modulare esigenze della persona accolta e realtà del contesto sociale nel quale è inserito”. Quindi, “l’idea di proporre percorsi terapeutici che si concludano con vincoli tali da distanziare il ragazzo dalla realtà della società non crediamo possano rappresentare un indicatore di successo. Un ragazzo deve, insieme alle dimissioni, poter ritrovarsi in mano tutto ciò che può essergli utile nella gestione della propria vita e delle proprie scelte. Non pensiamo ci debbano essere dazi da dover pagare per il fatto di aver utilizzato sostanze, né tantomeno ci debbano essere ‘protesi relazionali’ con le quali dover convivere per aver deciso di smettere d’utilizzare sostanze. In particolare con ragazzi di giovane età”.
Per questo i responsabili de “L’arcobaleno” sostengono che “vada accresciuto il senso di autoefficacia rispetto agli ambienti e la consapevolezza della propria storia personale. Un ragazzo al termine del percorso residenziale deve poter vivere in toto quello che decide possa farlo star bene, senza subire dogmi o prescrizioni ma attingendo ai limiti e alle risorse in sé stesso. E in questo crediamo sia fondamentale partire dalla realtà relazionale di un ragazzo di non ancora trent’anni; realtà fatta anche di incontri in discoteca, musica tecno, feste della birra, happy hour, cene, degustazioni e quanto di più comune venga proposto come modalità d’incontro per persone ‘comuni’”.
Tutto questo va, però, “creato nel tempo e gestito nel presente attraverso prassi utili e pragmaticità reali. Ecco perché abbiamo pensato di incentrare buona parte del percorso dei ragazzi sulla sperimentazione esterna: con un’immagine, provare ad aprire i cancelli della comunità per far sì che siano gli stessi luoghi a interrogare i ragazzi e le interrogazioni a stimolare il lavoro terapeutico”.