In occasione della Giornata mondiale della SLA-Sclerosi laterale amiotrofica (21 Giugno), abbiamo voluto capire meglio cosa vuol dire occuparsi di questa patologia neurodegenerativa cronica a carattere progressivo che coinvolge in Italia circa 6000 malati, di cui oltre 150 marchigiani (stime Aisla, 2020). Per quanto siano disponibili trattamenti capaci di incidere i sintomi di malattia, ad oggi non esiste ancora una cura. La Comunità di Capodarco di Fermo da anni è in prima linea nei trattamenti riservati alle persone affette da SLA (rivolti sia ai residenti della comunità che agli esterni), erogati da professionisti specializzati che operano nel Centro Ambulatoriale situato all’interno della struttura. La presa in carico della persona è globale, integrata e continuativa, con il diretto coinvolgimento della famiglia e in stretta collaborazione con i servizi sanitari. Per la Sla o le gravi insufficienze respiratorie sono inoltre previste prestazioni domiciliari. Parliamo di una malattia che comprende anche aspetti psicologici e affettivi, ci si prende cura della persona, della sua malattia e dell’intero nucleo familiare, per questo è necessario un team interdisciplinare, finalizzato a una riabilitazione multidisciplinare e supportato da diverse figure. Una di queste è senza dubbio quella di Annarita Andrenacci, fisioterapista da 30 anni per la Comunità di Capodarco. A lei abbiamo fatto qualche domanda.
Annarita, quante figure servono per occuparsi di una persona con Sla?
“La nostra équipe- spiega -, comprende il medico fisiatra che fa la valutazione iniziale del paziente e tiene le fila di tutto il progetto, il fisioterapista, che ha una formazione anche sulla riabilitazione respiratoria e quindi si occupa sia degli aspetti motori che di quelli respiratori, la logopedista, che segue la fase della deglutizione e della comunicazione e la psicologa, che segue sia il paziente che la famiglia, perché naturalmente una patologia così impattante coinvolge e sconvolge tutta la famiglia”
Quando parlate di presa in carico globale, vi riferite a una cura a tutto tondo della persona e della sua malattia?
“Il lavoro che si fa è quello di accompagnare il paziente in tutte le fasi della malattia– prosegue-, guidandolo nella scelta degli ausili per la mobilità; nell’utilizzo di strumenti che supportano la respirazione e la comunicazione e nell’informazione sulle strategie della deglutizione. L’équipe in collaborazione con l’ospedale di Fermo, in particolar modo con la neurologia, fa un costante monitoraggio della progressione della malattia, così da poter informare la persona malata e la famiglia, nei tempi opportuni, della necessità di interventi invasivi come la PEG e la tracheotomia, mettendoli in condizione di scegliere in maniera consapevole se accettarli o meno”.
Grande professionalità ma anche grande umanità…
“Penso che il valore più grande del nostro lavoro sia quello di essere un riferimento per la famiglia che in alcuni momenti si trova smarrita perché ha bisogno di un sostegno anche per prendere decisioni difficili e avere qualcuno che ti spiega quali son i vantaggi e gli svantaggi di ogni cosa che si deve affrontare è molto importante. Le famiglie spesso si trovano davanti a decisioni che riguardano la vita e la morte, e che hanno un impatto fortissimo a livello emotivo e psicologico. Una cosa che manca nel nostro territorio e la figura del palliativista che è quello che accompagna la persona nella fase finale della malattia (non solo), che dovrebbe aiutarlo a soffrire meno sotto tutti i punti di vista”.
In convenzione con il Servizio sanitario nazionale, la sede del Centro è all’interno della Comunità di Capodarco di Fermo (via Vallescura 47 – 0734 683907). La direzione sanitaria è affidata a Valentina Koxha (specialista in medicina fisica e riabilitazione). (s.lup)