25 novembre, Casa di Mamre al fianco di donne e bambini verso la serenità e l’autonomia

I dati in crescita su femminicidi e violenze di genere, presentati da Istat e Ministero dell’Interno, riaccendono i riflettori su una piaga ancora difficile da combattere e che, il più delle volte, supera il rapporto di coppia e si riversa anzitutto sui bambini. A Fermo tra le realtà vicine alla Comunità di Capodarco c’è la Casa di Mamre, struttura residenziale che ha lo scopo di accogliere donne in stato di gravidanza o con figli minori che si trovano in situazione di grave disagio socio-economico, con particolare attenzione alle donne vittime di violenza che necessitano di protezione. Nelle stanze dello storico Palazzo Sagrini, l’equipe di educatori ed operatori aiuta ad affrontare la sofferenza di donne, spesso giovanissime, e dei loro bambini provando a mettere il passato alle spalle, a ritrovare la serenità e un equilibrio interiore.

In occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, la coordinatrice Laura Censi racconta questa comunità entrata a far parte della rete antiviolenza della Prefettura di Fermo, che riunisce tutte le realtà che a vario titolo lavorano per la serenità delle donne.  “La casa può ospitare fino a 5 nuclei (gestante o mamma con bambino/i) italiane o straniere anche minorenni- racconta. Queste mamme arrivano in comunità su decreto del Tribunale dei Minori che ha rilevato una situazione di pericolo, di disagio socio-economico o di violenza domestica. Quando c’è la possibilità, nel decreto viene scritto che la mamma ha facoltà di seguire il minore ed è per questo esistono comunità come la nostra, Casa Maddalena o Sant’Anna. Strutture in cui emerge quindi sia la tutela dei minori inseriti in una situazione educativa e protetta, sia quella delle mamme che hanno la possibilità di rimanere con i propri figli”.

“È evidente che l’ingresso in comunità non è vissuto in maniera leggera- prosegue la coordinatrice della comunità- perché parliamo di situazioni complesse che vedono una comunità subentrare nella presa in carico e la tutela del minore. Il messaggio che proviamo sempre a far passare è che quando si entra in una struttura protetta si accetta di fare un percorso comunitario, soprattutto quando la responsabilità genitoriale viene sospesa dal Tribunale dei Minori come avviene nella maggior parte dei casi. Per ognuna c’è un progetto che deve portare all’autonomia, passando per il lavoro. È chiaro che non è mai una situazione familiare ma è un riorganizzare il nucleo e l’aspetto legale è un qualcosa di completamente slegato da quello educativo. La struttura che accoglie spesso fatica a far comprendere alle mamme che questo è un momento di aiuto e di sostegno, e che tutto ciò accade per via di situazioni accadute prima dell’ingresso in comunità. Da operatori proviamo quindi a spiegare che quello che stanno vivendo è un momento per loro, che noi siamo qui per aiutarle e lavorare sulla relazione madre-figlio. È difficile far passare questo messaggio perché prevalgono in alcuni casi le questioni legali, dove l’attenzione delle mamme si concentra per provare a uscire quanto prima dalla comunità illudendosi spesso di risolvere i problemi. Il ruolo delle comunità è quindi anche quello di far cambiare il paradigma del pensiero di alcune mamme, lavorando più sulla persona che sugli aspetti legali”.

Casa di Mamre offre garanzia di ospitalità ed assistenza a bisogni di alloggio, vitto e tutela, e favorisce l’inserimento in una vita comunitaria parzialmente autogestita. Sono percorsi a volte lunghi e complessi che, specialmente dopo episodi di violenza, non sono semplici per donne e bambini, ma grazie al lavoro preparatorio dell’equipe educativa di Casa Mamre si vedono dei risultati importanti. “Nel 2019 – prosegue Laura Censi – sono uscite con successo dalla casa cinque mamme. L’equipe è continuamente aggiornata, facciamo formazione continua e ci confrontiamo ogni settimana, proprio per aiutare le persone al meglio, per dire loro le cose nella maniera più giusta. Noi interveniamo in caso di emergenza ma poi dobbiamo fornire alle mamme gli strumenti per camminare da sole, partendo dal lavoro e da ciò che sono portate a svolgere. E’ importante la sinergia con i servizi sociali per poi andare oltre, col sostegno psicologico nostro e degli educatori altrimenti si rischia di perdere il lavoro fatto. Il reinserimento sociale è complesso, una mamma che si ritrova a dover affrontare da sola un affitto e la gestione di uno o più bambini piccoli ha bisogno di supporto integrato e continuativo anche in questa fase di uscita graduale da un percorso. La comunità aiuta a potenziare la rete sociale, l’inserimento scolastico dei minori, le accompagna alla ricerca di un appartamento ecc… Un lavoro preparatorio che il corpo educativo fa quando c’è la predisposizione da parte delle madri a voler condividere un percorso con l’equipe. In proporzione, negli ultimi quattro anni, otto mamme su dieci hanno avuto un percorso che le ha portate ad uscire dalla comunità con i figli reinserendosi in un contesto sociale”- sottolinea la coordinatrice di Casa di Mamre. “In accordo con il Servizio sociale di appartenenza si elabora un piano di rientro in autonomia che sia il più graduale possibile, attivando anche una serie di risorse che le possono aiutare e supportare nel territorio di origine. Mi vengono in mente tante mamme che sono tornate a lavorare nel proprio territorio anche facendo scelte importanti, come allontanarsi dal compagno”.

Un percorso per intravedere una vita diversa, che spesso coinvolge anche gli stessi autori delle violenze: “Altre lo hanno fatto insieme al partner, laddove accanto al percorso comunitario della donna si è affiancato quello del compagno maltrattante presso un’altra struttura. È accaduto anche qui, un percorso parallelo al termine del quale i due hanno potuto fare rientro nella propria abitazione insieme pur rimanendo sotto l’incarico dei Servizi sociali”.(marco donzelli)