Vittorio, uscito dalla vita di strada e dalla droga. E Antonio, che dopo i 40 anni ha imparato a fare il padre

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L’abbraccio tra Riccardo Sollini e Vittorio

FERMO – Una serata per festeggiare il percorso di uscita dalla droga di “Vittorio e Antonio, mentre Fabio e Patrick sono assenti giustificati per motivi di lavoro”. È familiare il momento delle “dimissioni” alla comunità terapeutica Arcobaleno, per celebrare quei giovani che hanno compiuto un cammino difficile e impegnativo per liberarsi dalla tossicodipendenza. Ad aprire la serata, le parole del responsabile della comunità, Riccardo Sollini, e un video con foto e scene di vita quotidiana. “Vittorio è arrivato quando stava in strada; si è messo in gioco tantissimo, si è speso in maniera enorme per sentirsi parte della comunità e non tirarsi mai indietro. Quando c’era un lavoro, lui c’era sempre e anche per dare una mano a noi dell’équipe per incoraggiare i ragazzi – ha raccontato Riccardo –. Siamo convinti che il cammino si fa insieme, noi e loro, un ‘continuum’ che va avanti, e questo Vittorio ce l’ha insegnato”.

“Ho deciso di entrare in comunità quando mi sono reso conto che non ce la facevo più ad andare avanti da solo; non è stato facile aprirmi e parlare dei miei problemi. Insieme ai miei compagni di percorso abbiamo creato una grande famiglia, pronti a dare aiuto quando ce n’era bisogno”, ha detto Vittorio. Testimoniando anche come sono cambiati i rapporti con i suoi genitori: “Prima di entrare in comunità, scambiavo ormai solo qualche parole con mia madre. Mi sono stati a fianco da quando sono entrato e ora il mio rapporto con loro era come avrei sempre voluto”. Al giovane piace la parola “trasparenza” e il suo desiderio è quello di ringraziare alcuni suoi compagni di percorso, la sua compagna Chiara. “Regaliamo ogni anno ai ragazzi una rosa dei venti e non una bussola, perché l’importante è riconoscere quello che hai intorno per poterti muovere bene”, ha riferito Sollini.

Antonio, invece, “è un’eccezione clamorosa, una scommessa grande, perché la nostra comunità accoglie giovani fino a 30 anni. Ma uno degli ex dell’Arcobaleno, che vive a Brescia e sta bene, mi ha parlato di lui. Dopo il colloquio, lo abbiamo accolto ed è stata una sfida emozionante, perché lui ha anche due figlie. Ha fatto un percorso bello e tosto. Stare in piedi con un sorriso e con questi occhi è il regalo più bello che poteva farci”.

Antonio (a destra) e Riccardo

Antonio (a destra) e Riccardo

“Sono arrivato il 19 marzo del 2010, festa del papà: forse perché volevo fare il padre a tutti i costi. Siamo riusciti insieme a tirare fuori il meglio di noi stessi e ora non riesco più a essere indifferente, né con me, né con gli altri. Prima soffocavo tutto e non è stato facile farmi smontare a 40 anni, sentirmi le mani altrui dentro. Ma ho creato quella linea sottile verso questo posto e questa comunità che voglio portare avanti”. Perché “quando incontri delle persone vere, crei un contatto. E ho imparato a piangere, a non soffocare quello che sentivo dentro. Ora quando sento delle emozioni, mi piace trasmetterle. Sono fortunato, perché ho avuto una seconda chance”.

“Mentre parlavano Antonio e Vittorio, ho ripercorso oltre trent’anni, dal 1981 a oggi. Nel prato della parrocchia di San Marco ho seminato circa venti anni fa il trifoglio; sembrava scomparso, per la mancanza d’acqua e le erbacce che crescevano intorno. Poi ho trovato l’acqua, fatto il pozzo, e quel trifoglio ha creato un prato splendido. Ho pensato alle vostre vite. E stasera ho conosciuto persone che ci hanno chiesto un aiuto per una comunità di minori.

Vite come il trifoglio che diventano verdi, compatte, belle, fanno il prato omogeneo. E per me questi sono miracoli. Una persona mi ha chiesto cos’è la Provvidenza per me, e io ho scoperto che sono le occasioni che ci vengono date di fare del bene. La comunità Arcobaleno è nata da una di queste occasioni: un politico disse in pubblico che Fermo era esente dalla dipendenza e che io ne parlavo per farmi grande. Poi morì un ragazzo a cui ero molto affezionato. All’inizio non c’erano équipe, si facevano le nottate sulla strada con un gruppo di tossicodipendenti. Abbiamo penato molti anni, perché qualcosa non funzionava. Poi un nostro amico ci ha affiancato, aiutato e fatto crescere: questo è il miracolo delle occasioni”.

“La parentesi della dipendenza è un buco nero che è stato coperto e oramai ne siete lontani. Lo stile è quello di ridare vita accettando le persone, le storie, non giudizi”, ha aggiunto don Albanesi, prima di benedire “le persone, non le cose. Non vi ho mai imposto nessuna Messa. Difficile trovare un prete che non vi imponga niente e qualcuno anzi mi rimprovera per questo presunto lassismo che è invece rispetto. Ma piano piano scoprirete la vostra anima. Trenta secondi di silenzio, che aiuta a rivivere la vita passata ma anche a progettare il futuro. La preghiera non l’ho trovata e la faccio: ti ringraziamo, Signore, per gli affetti, i sentimenti, i sogni, i progetti, per averci accompagnato nei momenti di solitudine e di tristezza e anche nei momenti bui della nostra vita”. “Dopo questa benedizione – ha concluso paternamente don Vinicio –, Vittorio e Antonio, voi sarete come una Ferrari”.