Sinodo dei giovani, don Albanesi: “Il dialogo presuppone la relazione”

“Con esperienza limitata ai giovani ‘difficili’ (tossicodipendenti, migranti, donne sole, bambini abbandonati …) la lettura dei documenti preparatori del Sinodo non suscita né gioia, né curiosità. Leggendo il Documento preparatorio e l’’Instrumentum laboris’ le sensazioni sono ambivalenti”. Inizia così la riflessione di don Vinicio Albanesi (presidente della Comunità di Capodarco) pubblicata su SettimanaNews, in occasionedell’apertura, oggi, del Sinodo dei vescovi, dedicato al tema dei “giovani, la fede e il discernimento vocazionale”.

“Lo sforzo, dopo la Evangelli gaudium di Papa Francesco – prosegue don Albanesi – e i due sinodi sulla famiglia, di occuparsi di giovani è certamente lodevole. I giovani fanno parte del futuro e anche se hanno oggi responsabilità limitate, proporzionate alla loro età: il futuro dipende da loro, quando, diventati adulti, dovranno affrontare la vita e anche i … giovani che sopraverranno. Era giusto dunque che un Sinodo della Chiesa universale si occupasse di loro. Lo sforzo di lettura della condizione giovanile è risultato completo e corretto. L’unico limite è che appare una lettura anonima; anche scientifica come lo permette l’evento Sinodo, anche se il dialogo con i giovani così impostato non funzionerà mai: ciò non significa che la riflessione sull’età giovanile non aiuti gli adulti e tutta la Chiesa. Il dialogo presuppone la relazione. In questo caso da una parte l’apparato solenne della Chiesa cattolica e dall’altra parte l’immenso gruppo di giovani che abitano il mondo. Descrivere questo mondo non è sufficiente; al massimo un’attenzione “dovuta” anche se per alcuni gradita. Non si può parlare di altri, senza un feeling minimo con gli interlocutori, costruito con umiltà e disponibilità: prevedendo anche il rifiuto”.

“Gli adulti del Sinodo non parlano mai di sé. Sono descritte le condizioni di difficoltà di chi deve affrontare la vita, senza un cenno di responsabilità per chi ha preparato questo mondo a loro difficile. I giovani sono in linea diretta con chi li ha fatti nascere, li ha accuditi ed ha preparato il mondo che conosciamo. Credo sia corretto chiedere perdono di ciò che non è stato fatto o fatto male. E’ un passaggio indispensabile per chi deve affrontare la vita. Gli ambiti sono molti: dalla famiglia, alla scuola, dalla città alla nazione, dal proprio paese al mondo intero. Si accenna, nei documenti, a internet. Come fa un giovane connesso dell’Africa o dell’estremo oriente ad accettare che nella nostra Europa esista il blocco di ingressi? Questo ragazzo/a cerca un futuro migliore che gli viene negato da chi – dichiaratosi cristiano – fa di tutto, anche a costo di vederlo morire, per non aiutarlo.
Quale dolore subisce un ragazzo/ragazza che vede i propri genitori separarsi, quando hanno bisogno di sostegno e di vicinanza?
Come è possibile accettare l’evoluzione dell’ultimo iphone di oltre mille euro, a fronte di povertà estreme fino alla morte?
La lettura del mondo giovanile presupponeva una lettura dolorosa ma reale – come spesso insiste Papa Francesco – del mondo attuale.
La sottovalutazione degli scandali all’interno della Chiesa, appena accennati, non predispone al dialogo giovani-adulti. Il giovane, proprio per il suo modo di vivere le cose vuole chiarezza, distinguendo nettamente bene e male”.

“Nella seconda parte dedicata a fede e discernimento vocazionale non si può rispondere citando S. Ireneo di Lione, Geremia o il Libro dei proverbi.
Non è oltraggio alla dottrina o alla Sacra Scrittura: è solo un collocare male dei riferimenti che sono alla portata soltanto di qualche migliaio di ragazzi e ragazze orientati alla vita religiosa.
La constatazione nuda e cruda è che la Chiesa attuale non ha proposte precise. Nei documenti lo si riconosce. Quando mai qualcuno ha parlato di “Gesù giovane”?
La preoccupazione teologica è orientata da sintesi antropologiche oramai relegate tra “addetti ai lavori.
Gesù è e sacerdote, profeta e re. Questi approcci sono semplicemente sconosciuti alle giovani generazioni, perché il linguaggio vero ed autentico della tradizione cristiana è stato elaborato in contesti oggi inesistenti. Basti pensare al concetto di persona utilizzato per il mistero della Trinità”.

“La paura (e la pigrizia) della proposta di fede, adeguata al mondo che cambia, ha impedito la lettura vitale del grande sogno del cristianesimo.
Infine la proposta. Credo che si debba ricominciare dalle virtù dimenticate o contrapposte alla cultura dominante. In fondo il cristianesimo è una religione unica perché non propone nessun comando. Fa una proposta: voler bene a Dio e agli altri.
Il Dio cristiano è un padre amorevole, paziente e benigno. Ha creato il mondo come meraviglia, anche se limitato. Ha donato due doni infiniti: la dignità di ogni creatura e la libertà: dall’universo alla terra, dalle piante agli animali, offrendo all’uomo e alla donna la cura della vita, sua e di chi gli è accanto.
Nei confronti di altre creature umane ha raccomandato di comportarsi come ciascuno si aspetta per sé: essere ascoltati, accolti, aiutati, con mitezza, gratuità, riconoscenza, perdono. In fondo ha dettato regole di una convivenza pacifica e giusta.
Scoprire questo volto dà senso al perché ci si comporta in un certo modo. A questo punto è possibile parlare di Gesù, della storia che l’ha preceduto e della Chiesa che si ispira al suo messaggio. E’ un sogno perché le contraddizioni sono infinite, anche se affiancate da eroismi e da testimoni esemplari”.

“Il Sinodo sia occasione per tutti, cristiani e non, per promettere di non perdere le indicazioni del grande Maestro, chiamando a raccolta chi desidera il bene dell’umanità.
Sarebbe bello, al termine del Sinodo, un appello sincero e leale, indicando dei temi che stanno a cuore alle nuove generazioni: l’ambiente, la parità, le risorse per tutti, il rispetto reciproco”. È la speranza di don Albanesi, che conclude così il suo commento: “un ultimo dettaglio: se si vuol parlare ai giovani occorre adeguarsi al loro schema mentale e ai loro linguaggi. La preoccupazione della completezza e dell’ortodossia non deve prevalere su un approccio amorevole e benevolo. Il cambiamento di stile e di contenuti non sia solo per i giovani interlocutori del Sinodo, ma per tutti i cristiani. In fondo siamo rimasti gli unici – nonostante le contraddizioni – a voler agire gratuitamente per il benessere di chiunque. Non è poca cosa in un mondo globalizzato e mercificato che lascia poco spazio alle emozioni e alle affettività.