UNA STORIA UNICA

“Diversi fra i diversi”, così Marisa Galli definisce Maria Pia. Potremo interpretare questa frase banalmente così: una comunità di disabili (i diversi: diversamente abili) accoglie una ragazza alla quale è stata diagnosticata la schizofrenia (diversa: con la mente fratturata). Maria Pia risulta diversa sia alla società in generale, sia a coloro che la accolgono. Sappiamo, però, che il giudizio sulle diversità non è sempre soltanto un giudizio sullo stato delle cose ma può essere usato anche come giustificazione dell’emarginazione che grava su coloro che sono oggetto di tale giudizio. Sappiamo anche che la diversità dell’altro può essere accolta con paura, rifiuto e diffidenza da coloro che non si considerano diversi. I disabili fisici possono essere accolti in modo negativo dalla società e, allo stesso modo, uno schizofrenico può essere accolto in maniera negativa da una una comunità di disabili fisici.
In questo senso, “diversa fra i diversi” può significare doppiamente emarginata, doppiamente allontanata. E’ questa la situazione di Maria Pia? La risposta sarebbe. “No”. In questa comunità Maria Pia ha trovato tanti riferimenti affettivi, tanto amore. Basta l’amore per ridurre l’urto violento con l’alterità? Forse. Ma dobbiamo ricordare che una comunità non è un soggetto omogeneo, univoco. Ha senso dire che una comunità ama? Da dove proviene l’amore che circonda Maria Pia? Da tutta la comunità? Dai singoli soggetti? Quest’amore che la circonda è l’amore incondizionato di Marisa? E’ l’amore professionale e personale di tanti operatori che si sono susseguiti nel corso degli anni?