Over65: non più disabili, solo “anziani”?

Non più disabile, ma semplicemente anziano: è un vero e proprio cambiamento di “status” quello che avviene agli over 65 con disabilità. E con la disabilità che lascia il passo alla “vecchiaia”, insieme al passaggio di “status” avviene un passaggio di servizi e competenze. Passaggio spesso destabilizzante, a volte addirittura drammatico, sopratutto quando porta con sé il trasferimento da una struttura residenziale all’altra.

Il signor G. Cosa accade dunque a una persona con disabilità, magari residente da anni in una struttura assistenziale, quando compie 65 anni? Ce lo siamo chiesti dopo aver letto, in un articolo sull’edizione di Cuneo del Corriere della Sera di qualche giorno fa, la storia del signor G., riferita e denunciata da una cooperativa di Alba. Da quando è morta la mamma, dieci anni fa, il signor G., che ha una grave disabilità, vive nella comunità della cooperativa Abrate di Alba: è quella ormai la sua casa, quella la sua famiglia. Ora però, dopo aver temporeggiato per tre anni, la struttura è costretta a metterlo letteralmente alla porta: è un “anziano”, ormai, e il suo posto è la “casa di riposo”, o meglio l’Rsa. Gli operatori della cooperativa, di fronte al dolore di questo distacco, si sono mobilitati: hanno interpellato Regione, Asl e Comune e hanno avviato una raccolta fondi, perché sia fatta una deroga a quel sistema di accreditamento dei servizi che determina questo “passaggio di competenze”, spesso a discapito di utenti particolarmente vulnerabili, come il signor G.

Dalla Rsd alla Rsd. Di signor G., in Italia, ce ne sono tanti: tutte le persone con disabilità che, al compimento dei 65 anni, si trovano a cambiare riferimenti nei servizi di assistenza e di accoglienza a cui fino a quel momento si sono rivolti. Una situazione che produce spesso gravi disagi o veri propri drammi, specie quando è lo stesso contesto di vita che deve essere cambiato: la residenza per anziani (Rsa) ha numeri, modalità e -caratteristiche molto differenti da una residenza per disabili (Rsd), oltre al fatto che gli “anziani” che la abitano hanno quasi sempre ben più di 65 anni. E senza contare che le esigenze di una persona disabile fin dalla nascita sono molto diverse da quelle di chi ha una disabilità legata all’età. Per questo, alcune regioni – così come gli operatori della cooperativa di Alba – si sono attivate per provare a mutare la situazione, intraprendendo iniziative che permettano agli over 65 con disabilità almeno di rimanere nella struttura in cui sono da tempo inseriti. In questo senso, un passo decisivo è stato compiuto con la legge 112/2016 sul “Dopo di noi”, che dedica il comma 2 dell’articolo 1 proprio a questa problematica.

Carnevali, “la legge sul Dopo di noi spezza la rigidità”. Dov’è dunque l’origine del problema? E quali misure servirebbero per “ammorbidire” un sistema che, nella sua rigidità, spesso penalizza una delle categorie più fragili della popolazione, qual è appunto quella degli anziani con disabilità? Ci risponde la deputata Elena Carnevali, che alla Camera è stata relatrice della legge. Innanzitutto, ci spiega, “il problema è a livello regionale e riguarda le modalità di accreditamento e contrattualizzazione delle strutture residenziali, che di norma prevedono che le persone possano rimanere fino a 65 anni. Proprio questa è la ragione che ha ispirato il comma 2 dell’art.1 della legge 112, in cui si chiarisce che ‘la presente legge disciplina misure di assistenza, cura e protezione in favore delle persone con disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive di sostegno familiare’. Questo significa – sottolinea Carnevali – che le persone con disabilità grave non hanno più questa sorta di ‘orologio anagrafico’ ma, se inseriti nei progetti della legge 112, non potranno più essere considerati ‘anziani’, ma vedranno assicurata la loro continuità di vita dentro il progetto appropriato che è stato scelto. Abbiamo così innescato una sorta di cambio culturale dentro la rigidità dei servizi, che è uno dei limiti più grandi nella costruzione di progetti flessibili. Avere questo principio di carattere culturale nella legge – afferma ancora Carnevali – in futuro ci metterà nella condizione di rivedere alcune rigidità del sistema, legate a modelli culturali ormai superati, che ‘targettizzavano’ le misure e i sostegni, distinguendo i servizi in base ai destinatari (giovani, disabili,anziani ecc.). Era necessario intervenire su questo sistema – osserva Carnevali – Come si può infatti inserire una persona con disabilità in un piccolo modello abitativo e poi, al compimento dei 65 anni, trasferirla in un luogo più strutturato come una casa di risposo? Ora, con la legge 112 abbiamo finalmente infranto quel muro, che vedeva ancora nella costruzione delle progettazioni sociali una logica anagrafica. E’ un cambiamento che ci viene prioritariamente chiesto dalla Convenzione Onu per i diritti delle persone con disabilità: un principio di garanzia dei diritti e appropriante dei percorsi che costruiamo. Una volta immaginavamo che le persone avessero bisogni diversi a seconda di condizioni anagrafiche: ora sappiamo che questo non può determinare la qualità della vita. La legge 112 è un’inversione di tendenza, a partire da questa consapevolezza. Ora, perché tutto il sistema cambi, il principio che dovremo assumere è quello del progetto individuale della persona, che porta con sé necessariamente la flessibilità nel sistema d’offerta”.

L’agenzia Redattore sociale ha cercato di capire cosa accade nelle regioni e a scoprire le iniziative che, in alcuni territori, vengono messi in atto per aggirare la rigidità imposta dal sistema dei servizi.