Ossessiva, arrogante, indesiderata: la pubblicità imposta nelle notizie in rete

E’ esperienza comune dover subire pubblicità imposta quando si legge una notizia in rete. E’ costume oramai consolidato che aprendo una notizia, appaia una pubblicità imposta. A volte discreta (quattro, cinque secondi), a volte gestibile (vai alla notizia) oppure lunga e senza modifiche (20 secondi), con le varianti di essere muta o in bianco e nero. Non è difficile collegare questa consuetudine alla non gratuità delle notizie.

Per qualche tempo, nei primi anni del funzionamento della rete le notizie dei quotidiani e/o delle riviste in rete sembravano gratuite. Ora non più: ogni comunicazione è gestita dal proprio editore; offerta per un numero limitato di notizia, oppure con quattro/cinque righe di sommario, accompagnata da pubblicità esplicita, nascosta, a tempo, imposta.

L’impressione più brutta si ha, quando prima di leggere una notizia seria e grave, appaiono immagini di un profumo o di un’automobile, comunque inappropriate. Lo stridore è forte e irritante; ma non ci sono alternative. Se vuoi leggere devi sottostare ai costi della produzione e di conseguenza dell’informazione.

Si può affermare candidamente che l’informazione non è gratuita mai: nemmeno per il servizio pubblico (vedi il canone + pubblicità) o per le reti private (vedi pubblicità). La spiegazione offerta da queste prassi è semplice: i costi di produzione debbono essere compensati dai profitti della pubblicità. La domanda che sorge spontanea è: che cosa significa dunque libertà di informazione? Chi non ha risorse non può informarsi, oppure può pagare il relativo costo, diventando un cliente di un qualsiasi prodotto, suo malgrado, pagando con una ricezione passiva la pubblicità offerta. La domanda si sposta; quanta libertà rimane dietro il martellamento pubblicitario?

La considerazione ovvia è che nel mondo globalizzato l’informazione è riservata a chi ha risorse: chi non ne ha può solo accedere a notizie offerte da regimi dittatoriali o a una pioggia ossessiva di martellamento mercantile. Rimane infine un’ultima domanda: in questo contesto che significa democrazia? La riposta può essere: piccoli spazi sottratti al condizionamento esplicito e occulto di altri.

Forse una risposta valida è il riappropriarsi di luoghi, modi e relazioni che permettono lo scambio di idee e di opinioni, facendo affidamento alla fiducia e alla coerenza di chi offre notizie, senza denaro. Con la speranza di costruire verità: non totale, ma migliore di quella del mercato.