Minori in comunità, quando a vincere è la logica del “preventivo”

Minori fuori famiglia, si tratta sul prezzo. Con le casse comunali in stato di costante crisi (la presa in carico dei minori fuori famiglia comporta per i comuni italiani una spesa sempre più difficile da sostenere), anche l’affidamento dei minori alle comunità sembra poggiare su logiche che con l’interesse dei minori non dovrebbero avere nulla a che fare. Allontanati dalla famiglia (anche in seguito a violenze e abusi) con provvedimento di un tribunale per i minorenni, accade che i bambini e ragazzi vengano affidati dai comuni alle strutture di accoglienza con il criterio del minor costo: gli uffici comunali chiedono cioè una sorta di “preventivo”, optando poi per la struttura che garantisce una spesa minore per le casse dell’ente. Una sostanziale “mercificazione” dell’area delle politiche sociali che non risparmia i più piccoli; una prassi amministrativa che – in virtù di tale approccio – non distingue più tra l’affidamento della costruzione di un marciapiede e l’affidamento del futuro di un bambino.

Che succeda spesso lo testimonia Riccardo Sollini, coordinatore dei servizi della Comunità di  Capodarco di Fermo. “La questione è delicata – afferma – e le problematiche nascono da una gestione del fenomeno non sempre razionale. Ci si muove in emergenza: con l’emissione di un provvedimento del Tribunale, infatti, la prima scelta adottata dall’ente comunale nella stragrande maggioranza dei casi è sempre la comunità. L’affidamento familiare, al limite, arriva dopo”. Una situazione che incide anche sul servizio sociale, sottolinea Alessandro Vella, coordinatore dell’associazione Mondo Minore, legata alla Comunità di Capodarco, che così “diventa sempre più esecutore giudiziario, non riuscendo più ad interpretare la situazione e i bisogni reali del bambino. E la situazione emergenziale – continua Vella – incide ovviamente sull’approccio, con il costo che diventa l’unico elemento essenziale di cui tener conto nel momento di difficoltà”.

Urgenza, scarsa capacità di analisi della situazione, affidamento a chi offre il servizio subito e a condizioni economiche migliori. Questa ormai la prassi. “Penso di poter dire che siamo di fronte a un completo disinteresse nei confronti dei reali bisogni di un minore – aggiunge ancora Sollini -. Quando un comune chiama non chiede più se una struttura è adeguata, né ci si chiede preventivamente se il bambino ha bisogno della comunità. Non solo: a mio parere la struttura stessa deve essere in grado di capire se è idonea per quel determinato bambino e per i bisogni che presenta in quel determinato momento. E per fare questo c’è bisogno di confrontarsi, di valutare i singoli casi. Se invece arrivano certi tipi di mail da parte dei comuni, significa che l’unico criterio adottato è quello economico. E soprattutto significa che ci sono comunità che si muovono con queste modalità, dimenticandosi esse stesse dei bambini e ingenerando un tale modo di procedere da parte dell’ente comunale”. Insomma, serve cambiare la logica alla base degli interventi. Rimettendo anche in questo caso il bambino al centro dell’azione. E ricordando che operazioni di riduzione degli sprechi e di rispetto dei bilanci non possono trovare dimora in contesti tanto delicati ed importanti. (daiac)