L’ultimo giorno dell’anno, tra festa e solitudini. “La speranza è nella storia”

Con l’avvicinarsi dell’ultimo giorno dell’anno c’è il desiderio di festa. Non sempre e per tutti è festa: potrebbe essere occasione di ricordi tristi e di vicende dolorose. Comunque il tempo scorre e continuerà a farlo, a prescindere dalle storie personali e collettive.

Lo sguardo alle vicende umane è preoccupante. Sul piano internazionale due grandi scenari destano angoscia: la situazione nel medio oriente; le condizioni dei popoli dell’Africa. Non si intravvedono soluzioni positive. I numeri dei morti non destano nemmeno più emozione: come se fossero inevitabili e necessari. Eppure sono vite umane morte innocenti: per guerra, per fame, spesso senza un perché.Il mondo rovesciato dei poveri e de disgraziati, oltre a penare, muore a migliaia come mosche inopportune.

I problemi dell’altro mondo – quello più attrezzato e ricco – sono diversi, ma nemmeno essi consolanti. Il mondo occidentale è diventato infertile: invecchia, si chiude in se stesso, è diventato rigido, nonostante sia destinato a scomparire. Il futuro non interessa, inchiodato al presente che vorrebbe immobile. Non c’è progetto, la vita è sommersa da un consumismo che illude per un progresso effimero. Ognuno cerca di arrangiarsi: i ricchi sempre più in alto; i poveri sempre più disperati.

Non è tutelato nemmeno l’ambiente: tra poco torneranno a girare in bicicletta perchè l’atmosfera sta dimostrando di non reggere l’impatto dell’inquinamento. Una pazzia che pervade, ossessivamente spinta da desideri vacui e incolmabili. Tra poco non sapranno dove smaltire i rifiuti. Si invocano guide e politiche che non esistono: prevalgono cialtroni che promettono senza mantenere, scientemente coscienti di imbrogliare.

La speranza è la storia: quando il presente ciclo sarà saturo, la corda si spezzerà e farà tornare alla ragione piccoli e grandi, con il rimpianto di aver perso tempo e felicità. Se si anticipasse la tragedia si guadagnerebbe in minore sofferenza e meno vittime. Soprattutto si tornerebbe a sognare: per sé e per coloro che vengono dopo. Senza l’orizzonte nessuna zattera naviga per raggiungere la meta