Come è cambiato il mondo delle auto per disabili? Il cammino verso l’autonomia

È uno dei traguardi più ambiti dagli adolescenti. È il simbolo della maggiore età, la concretizzazione dell’autonomia. La patente di guida è qualcosa di più di una tessera rosa. E per tutti i neopatentati festeggiare è d’obbligo. Ma chi si aspetterebbe di ricevere oltre 25mila like, più di 1.500 commenti e quasi 200 condivisioni pubblicando un selfie con la propria patente appena conseguita su Facebook? È successo a Beatrice Vio, campionessa paralimpica di fioretto individuale, ormai un volto noto anche a chi non segue lo sport. “Sono super felice di poter sfrecciare per le strade – scrive nel suo post –. Questa patente la dedico a tutte le persone che mi prendevano in giro per le bocciature alla teoria…”. Sebbene ancora oggi per chi ha una disabilità possa sembrare una conquista, le patenti speciali hanno una lunga storia, raccontata da un’altra foto, stavolta in bianco e nero. Non c’erano smartphone e social network. Internet era a dir poco inimmaginabile. Le fotografie si stampavano e avevano il classico bordino bianco. Stiamo parlando degli anni Sessanta e di uno scatto diventato famoso quasi quanto il selfie di Bebe Vio. A bordo della sua Cinquecento bianca sorride Gabriella Bertini, la prima donna italiana paraplegica a guidare un’automobile. All’epoca aveva 25 anni e comprò la sua prima auto contro il parere dei suoi familiari. È stato uno dei primi veicoli adattati con comandi manuali. Da allora di strada ne è stata fatta parecchia e se, oggi, Bebe Vio può “sfrecciare” al volante di una macchina di ultima generazione è grazie al grande lavoro che negli anni ha coinvolto soprattutto automobilisti disabili, ex piloti, associazioni, artigiani, aziende e istituzioni. A raccontare questa piccola rivoluzione nel numero di maggio di SuperAbile, il magazine dell’Inail, per Redattore Sociale è Giovanni Augello.

Attualmente avere una disabilità fisica non preclude il conseguimento della patente di guida, ma non è stato sempre così. Quello che può essere considerato il primo Codice della strada, datato 1933, non prevedeva in alcun modo la possibilità di guida per chi avesse delle disabilità fisiche di qualsiasi tipo. Il testo parlava chiaro: la patente va solo a chi “non è affetto da malattie fisiche o psichiche e non presenta deficienze organiche di qualsiasi specie che gli impediscano di condurre con sicurezza un’automobile”. Ci sono voluti 26 anni prima di registrare una timida apertura. E molto lo si deve a quei pionieri che si misero all’opera senza aspettare che norme e regolamenti prevedessero una persona disabile al volante.

A raccontare i primi passi di una rivoluzione è Stefano Venturini, segretario nazionale di Anglat, Associazione nazionale guida legislazioni andicappati trasporti. “Siamo a cavallo tra il 1958 e il 1960 – ricorda –. La patente per i portatori di handicap non c’era. Due persone, un paraplegico e un artigiano, si presentarono al ministero (dei Trasporti, ndr): uno perché voleva tornare a guidare, l’altro perché sosteneva di poter inventare dei dispositivi per la guida delle persone disabili”. I due, insieme, riuscirono a dimostrare che gli ausili realizzati permettevano di guidare in sicurezza. “L’artigiano era Otello Venturini, mio padre – puntualizza il segretario nazionale di Anglat –, e l’altro era Socrate Ulivi, paraplegico fiorentino. Da lì, finalmente, il ministero prese in esame la possibilità di una patente per le persone disabili e fece una discreta legge che è durata fino ai tempi nostri”.

Ed è così che, nel 1959, il nuovo Codice della strada, introdotto con il Testo unico sulla circolazione stradale n. 393, inizia a prevedere la possibilità di rilascio della patente anche a chi ha delle disabilità fisiche, consentendo la guida di “motocicli, motocarrozzette e autovetture” con prestazioni limitate. Nasce la patente F per quei veicoli appositamente adattati, oppure le patenti A o B cosiddette limitate. Bisogna aspettare il 1962, con la circolare ministeriale 63, perché si arrivi a una classificazione più puntuale delle diverse disabilità fisiche e degli adattamenti da montare sulle vetture. Una decina di anni più tardi, la legge 62 del 1974 amplia la rosa delle categorie di veicoli che possono essere guidati da chi ha disabilità fisiche: non più solo quelle individuate dal testo del 1959, ma anche “autoveicoli per il trasporto promiscuo di persone e cose, autocarri, autoveicoli per uso speciale o per trasporti specifici”, sempre con alcune limitazioni in parte superate con norme successive.

Ci avviciniamo agli anni Ottanta e sul circuito di Long Beach, in California, un noto pilota svizzero con ben cinque Gran Premi all’attivo termina la propria carriera in Formula 1 andandosi a schiantare a 250 chilometri orari contro la vettura di un altro pilota. Per via dell’impatto perde l’uso delle gambe. Il suo nome è Clay Regazzoni e prima dell’incidente è già un mito per gli amanti delle quattro ruote. Un campione che presto diventerà un simbolo anche per gli automobilisti disabili. In quegli anni, intanto, una nuova legge rivede ancora una volta le possibilità di guida per le persone con disabilità, vengono istituite le attuali Commissioni mediche locali e un Comitato tecnico con il compito di proporre i requisiti per conseguire e confermare le patenti. Nel 1992 arriva il nuovo Codice della strada che apre la categoria D (quindi autobus fino a 16 posti) alle patenti speciali.

Il mondo della guida arriva quindi a un punto di svolta e lo stesso Regazzoni dà una spinta a questa evoluzione con la sua tenacia. Nonostante la disabilità, il pilota svizzero torna presto a bordo di un’auto da corsa, stavolta su percorsi da rally, montando sulla propria vettura da competizione dei comandi modificati. Sono anni in cui c’è molto fermento sul tema e proprio tra il 1992 e il 1993 Regazzoni, insieme a un giovanissimo Luca Pancalli, oggi presidente del Comitato italiano paralimpico, fonda la Federazione italiana sportiva automobilismo patenti speciali. “Ci registrammo con l’acronimo Fisaps – racconta Pancalli nel suo romanzo autobiografico Lo specchio di Luca (Fazi) –. Discutemmo molto in quei mesi. Clay Regazzoni aveva una personalità forte, tendente al “o si fa come dico io o niente… che cavolo ne volete sapere delle gare in macchina!”, ma il suo entusiasmo era contagioso. Diventammo amici. Fratelli di carrozzina. Non ci fu mai prevaricazione o confusione di ruoli. Lui era l’ariete, io il mediatore. Non ci fu nemmeno da discutere sul nome da dare alla neonata federazione. L’accordo fu assoluto sul non richiamarsi in alcun modo al termine handicap”.

La sfida lanciata dal mondo delle corse ha finito per favorire lo sprint verso nuove regole per le patenti speciali. Ed è così che, col nuovo millennio, si è andato delineando l’attuale quadro normativo. Nel 2003 viene abolita la norma che impediva il rilascio o la conferma della patente per motocicli ai conducenti con minorazioni agli arti, mentre nello stesso periodo viene accordato il permesso ai conducenti con disabilità di guidare un taxi. Un iter complesso che ha dovuto risolvere tante questioni particolari. Basti pensare alla direttiva per la guida da parte di conducenti con “rigidità invalidante del collo” o il decreto ministeriale di recepimento della direttiva europea che ha portato, nel 2010, all’abolizione della patente speciale per i monocoli (coloro che vedono da un solo occhio, ndr) purché in possesso di determinati requisiti. Tuttavia, negli anni si è cercato anche di semplificare il corpus normativo, come accaduto con la legge 114 del 2014, con cui vengono accolte alcune proposte dell’Anglat, tra cui quella di equiparare i tempi di validità della patente B speciale con quelli delle patenti normali per le patologie stabilizzate e non soggette a cambiamenti.

Oggi sono oltre 160mila le patenti B speciali attive in Italia, su poco più di 38 milioni di patenti emesse, ma secondo l’Anglat il numero potrebbe essere molto più alto. Non esiste più la patente F e le patenti speciali A, B, C e D possono essere rilasciate a seguito di una visita presso la Commissione medica locale. “Questo è il primo passo da fare – spiega Roberto Romeo, presidente di Anglat –. Le Commissioni si trovano presso le Asl territoriali e sono composte da rappresentanti del ministero della Salute, un ingegnere, un fisiatra o comunque un medico specialista della patologia, più un rappresentante delle forze dell’ordine. Questo pool valuta il soggetto che per la prima volta chiede il rilascio dell’idoneità alla guida. Dopo aver valutato gli adattamenti, viene rilasciato un certificato, si acquista la vettura, sono installati i dispositivi e poi ci si iscrive presso una normale autoscuola”. Sulla patente speciale di qualsiasi categoria, poi, saranno riportate le particolari prescrizioni o gli specifici adattamenti con un codice valido in tutti i Paesi dell’Unione europea.

Se dal punto di vista normativo sono cambiati parecchi dettagli, oggi anche sul fronte dell’innovazione tecnologica si è arrivati lontano. L’automobile sfoggiata da Bebe Vio sul proprio profilo social è molto diversa dalla Cinquecento di Gabriella Bertini, e non solo per gli ausili. L’arrivo sul mercato di veicoli con il cambio automatico e senza frizione ha accelerato questo sviluppo, ma per i produttori di dispositivi le sfide non sono finite, anzi. “Oggi non puoi più pensare che un acceleratore sia ancora meccanico – commenta Venturini –: è diverso e si collega direttamente con la parte elettronica della vettura. La tecnica ha fatto dei passi da gigante e anche il nostro settore è cresciuto, perché le automobili si sono sviluppate. Un dispositivo del 1970 approvato dal ministero dei Trasporti e adottato per 20 anni non esiste più e, anche se la leva a lungo braccio per frenare c’è ancora, oggi è tutta un’altra cosa”. Fare un elenco dei sistemi che si possono installare su un’automobile è un’impresa: si va dal classico acceleratore a cerchio montato sul volante ai nuovi comandi wireless da indossare sul dorso della mano e da azionare col pollice. Per guidare, inoltre, al posto del volante è possibile montare un joystick, ma c’è anche la possibilità di azionare la freccia soltanto con un movimento del capo. E l’Italia, aggiunge Venturini, è “al primo posto nel mondo per quanto riguarda la tecnologia applicata su questo settore”.

Apportare modifiche alla propria auto, però, può comportare dei costi che variano a seconda dei dispositivi necessari e anche dell’automobile su cui verranno montati. Fortunatamente le persone con disabilità in Italia godono di alcune agevolazioni fiscali, informa Roberto Romeo: “C’è l’Iva al 4% e una detrazione Irpef del 19% in sede di detrazioni dei redditi sulla spesa sostenuta per l’acquisto del veicolo, l’esenzione dal bollo auto e dall’imposta provinciale di trascrizione”. In più, “l’articolo 27 della legge 104 prevede il 20% di rimborso del contributo sui dispositivi di guida da parte delle Regioni e in alcune regioni si è intervenuto estendendo il contributo anche a chi è trasportato”. Le agevolazioni, infatti, non riguardano solo i guidatori disabili con patente speciale, ma anche coloro che non possono guidare. “Con la legge n. 449 del 1997 e con la n. 388 del 2000 le agevolazioni sono state estese anche alle disabilità sensoriali e a quelle intellettive, relazionali e psichiche. Ovviamente parliamo di soggetti che non guidano, a esclusione dei sordi, ma vengono trasportati. Prima erano esclusi perché le agevolazioni erano mirate solo a chi guidava”. Mentre il mondo intero si sta preparando all’ennesima rivoluzione della mobilità, con le prime sperimentazioni di veicoli a guida autonoma, per l’universo delle patenti speciali il cambiamento culturale è già avvenuto. “Oggi se dimostri di saper guidare con un sistema che non è stato neanche classificato, ma è personalizzato su di te, puoi dimostrare di saper guidare e di poter prendere la patente – chiosa Venturini –. È un caso limite, certo, ma è una possibilità. Prima era impensabile: si parlava di patenti F e di patenti limitate. Oggi abbiamo superato certe resistenze dettate dall’ignoranza”.

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