Albanesi, Ciotti, Patriciello, Rigoldi: “Non chiamateci preti di strada”

foto: Stefano Dal Pozzolo

foto: Stefano Dal Pozzolo

ROMA – Don Vinicio Albanesi, don Luigi Ciotti, don Gino Rigoldi e don Maurizio Patriciello: quattro preti di strada presteranno i loro volti e quelli delle comunità in cui vivono al commento delle letture domenicali in onda il sabato pomeriggio su Rai Uno, nel contenitore del programma “A sua immagine”, a partire con don Ciotti sabato 29 novembre. Il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, ha parlato oggi di un “gioco di squadra, e di una bella squadra” tra la Rai e la Cei. “Una squadra che traduce in fatti e immagini quello che papa Francesco ci sta continuamente chiedendo, e qui abbiamo preti di strada che hanno fatto della strada la loro università dove hanno imparato soprattutto e poi dove hanno saputo dare”. Metterli insieme è “un modo per la Chiesa di dire grazie per aver resistito a volte alle nostre resistenze e per aver accettato questa nuova sfida”.
“Sono prete da 47 anni e questo è il primo invito che ricevo da un segretario generale della Cei: si vede che con papa Francesco è cambiata l’aria”, ha scherzato don Albanesi, con la reazione altrettanto scherzosa del vescovo Galantino: “Se continui così, mi fai licenziare”. Il presidente della Comunità di Capodarco ha rimarcato: “La Chiesa ha fatto due fettine: da una parte i pii, in preghiera, dall’altra noi. Non abbiamo le facce emaciate di quelli che portano il cilicio, ma nelle situazioni estreme incontri la verità della vita; anche nelle storie più disperate trovi una speranza e un sollievo lo dai non per umanità, ma perché credi in Dio. Tu, che sei figlio di Dio, ti senti invitato a trattare gli altri come figli di Dio”. La messa più bella, ha confidato il sacerdote, “l’ho celebrata con i malati psichiatrici, perché in fondo la pazzia è il non controllo delle emozioni. Non rispondono ‘amen’, ognuno fa quello che gli pare, ma scopri l’autenticità dei sentimenti”. Insieme agli altri sacerdoti presenti, don Vinicio si è dichiarato grato per “aver vissuto una vita intensa, bella, e aver dato qualcosa a qualcuno. Abbiamo avuto anche le sconfitte, pure quelle brucianti che ti spezzano le gambe. Ma quello che abbiamo potuto l’abbiamo dato. Quindi trattateci da fortunati”.
“Confesso una grande emozione e una grande preoccupazione: l’unica laurea che ho è quella in scienze confuse. Sento una responsabilità della parola che si porta agli altri. Quelle parole di papa Francesco ‘andate nelle periferie’ l’ho avvertita mia: non solo geografiche ma quelle delle persone che stanno cercando un senso alla loro vita. Essere nel mondo per tentare di saldare il cielo alla terra. Saldare il Vangelo alla Costituzione italiana”, ha sottolineato don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e dell’associazione Libera. “Siamo chiamati ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso le storie, le speranze e le loro difficoltà”. Sono i poveri e gli ultimi che ci danno le coordinate del nostro agire. Chiedo però di non essere etichettati come “preti antimafia”, “preti di strada”, siamo preti e basta e quelle etichette talvolta ci mettono in imbarazzo”, ha osservato, concludendo: “Abbiamo scoperto che è possibile incontrare le persone per incontrare Dio”.

Don Vinicio Albanesi e don Luigi Ciotti durante la conferenza stampa

Don Vinicio Albanesi e don Luigi Ciotti durante la conferenza stampa

Sulla dignità che bisogna trovare nelle carceri è intervenuto don Gino Rigoldi, cappellano dell’Istituto penitenziario minorile di Milano “Cesare Beccaria”: “Confesso che questo era un mio sogno: finora sempre chiamato in tv a parlare di droga, disagio giovanile, carceri,finalmente potrò parlare di Gesù Cristo e del Vangelo. Ho capito in questi anni che Lui non profuma d’incenso ma di altri odori, e che può essere compagno di strada di persone che hanno ucciso e rubato. Se le persone sono accolte e non giudicate, cambiano: ho visto gente partire da reati tremendi e arrivare a una vita buona. Sono abituato anche, di fronte ai problemi che incontro, a non cercare mai il colpevole ma la parte buona da cui si può partire”. “Certe parole – amore, solidarietà, cura dei poveri – fanno una buona impressione, ma a volte non si sa dove cominciare. Si comincia dalle relazioni importanti, che non vanno di moda neppure nei seminari. Ogni amore è una scelta e un percorso. Abbiamo un certo deficit di percorsi, invece quando dici una parola devi anche dire da dove si comincia e come si fa ad andare in avanti”, ha sottolineato ancora Rigoldi, fondatore e presidente di Comunità Nuova. “In 41 anni che sono al Beccaria, ho incontrato almeno 40mila ragazzi”, ha concluso.

“Non è colpa nostra se Gesù ha voluto mettere un tesoro di valore inestimabile in vasi di terracotta. Dobbiamo portare anzitutto l’amore di Cristo: la gente ha bisogno di lui e quando lo andiamo a calare nella nostra realtà ognuno fa l’esperienza che gli è propria”, ha esordito don Maurizio Patricielloparroco a Caivano nella cosiddetta “terra dei fuochi”. E ha riassunto la sua vocazione: “Sono diventato sacerdote a 34 anni, prima sono stato infermiere caporeparto in ospedale; in pronto soccorso sono rimasto imbambolato di fronte a un ragazzo morto per una scossa elettrica, a chiedermi se Dio è buono e come mai il Signore resiste alla tentazione di vedere il sofferente e non intervenire: la risposta è solo il Cristo in croce”. Dopo l’ordinazione presbiterale, don Maurizio è stato mandato “in una periferia brutta, nata dopo il terremoto degli anni Ottanta con il peccato originale: vi sono state ammassate le povertà. L’unico modello diventa il boss del quartiere, quello che emerge per la casa e la macchina più bella. Vediamo i ragazzi passare per la parrocchia e poi perdersi da adolescenti: i sedicenni già passati per il carcere, le quindicenni incinte o che hanno già abortito”.

A Caivano, nella diocesi di Aversa di don Peppino Diana (ucciso dalla camorra in chiesa), a cavallo con la provincia di Caserta, “mi trovo nella terra dei fuochi, dove vengono bruciati gli scarti delle nostre industrie che bruciano, che non pagano le tasse. Vengono affidati ai fratelli rom e disoccupati per essere smaltiti. Dal Nord sono arrivati in Campania tonnellate di rifiuti delle industrie – ha denunciato don Maurizio –. La camorra è un terzo di questa porta: ha fatto un patto maledetto con un’industria disonesta e una politica che non fa il bene dei suoi cittadini”. Ma la vita “è più bella di quello che sembra. Scoraggiarsi vuol dire smettere di essere uomini, mettere da parte la dignità: non è possibile”. Conclude ogni tanto le sue omelie dicendo: “Se volete farmi un complimento, ditemi: ‘Padre, lei è un uomo’, perché Gesù Cristo si è fatto uomo’. Ed è bello che le telecamere siano puntate sulle periferie”. Lo saranno per un anno liturgico intero, a partire dall’Avvento. In onda, sabato prossimo alle 17.30 circa, don Ciotti fino a gennaio 2015. (lab)