“Adattarsi” alla Sla, la lezione di Vitaliano: non è arrendersi ma vivere al meglio

Con un evento dedicato alle malattie neurodegenerative e ai nuovi percorsi di presa in carico, si è conclusa venerdì 7 dicembre 2018, nella Comunità di Capodarco di Fermo, “Unimc for inclusion”, la settimana di formazione, convegni, laboratori, spettacoli e interviste sui temi dell’inclusione e dell’accessibilità organizzata dall’Università di Macerata. Durante il convegno, grazie al lavoro d’équipe (medici qualificati e operatori specializzati) e alla tecnologia assistiva, Vitaliano Scoccia, malato di Sla dal 2012, che da alcuni mesi ha scelto di vivere in Comunità, ha potuto raccontare a tutti la sua esperienza personale, “la storia di un uomo normale” come ha sottolineato. Una presenza importante per la Comunità di Capodarco, grazie alla quale spera di aprire a breve una nuova struttura per malati di Sla con otto posti di sollievo. L’intervento di Vitaliano è stato poi ascoltato in diretta web nella decima puntata “Fuori Onda. L’Escluso” programma dell’ Università degli Studi di Macerata curato da Aldo Caldarelli. Ecco il racconto di Vitaliano Scoccia.

La storia “di un uomo normale”
“Buonasera a tutti, mi chiamo Vitaliano, Vito per gli amici. Ho 57 anni e da 30 sono felicemente sposato con Daniela. Ho due figli, Giulia e Leonardo, di 27 e 23 anni. Ho sempre lavorato nel settore delle telecomunicazioni, prima in Sip poi Telecom Italia, Infostrada e Wind. Mi occupavo all’inizio di reti trasmissive, quindi ho seguito il passaggio di queste da Fdm a PCM, poi come specialista ed esperto tutta l’evoluzione che c’è stata negli anni 80 e 90 dalle vecchie centrali telefoniche analogiche a quelle numeriche. Poi con l’avvento dei nuovi operatori Infostrada e Wind e l’implementazione delle nuove reti dati e mobili di ultima generazione. Ora sono in pensione anticipata per inabilità lavorativa. La mia storia è quella di un uomo normale, un marito e padre di famiglia, che si è trovato improvvisamente a combattere una guerra che purtroppo era già persa in partenza. Nel lato parentela di mia madre sapevo che c’erano stati due casi di Sla, ma non mi sono mai preoccupato più di tanto, convinto che potevano riguardare solo la parte della sorella di mia madre, morta giovane per questa malattia. In realtà, quello che non sapevo è che anche mio nonno materno aveva avuto la stessa malattia. Ricordo anche che circa venti anni fa, nel periodo di malattia di mio cugino, fui sottoposto a visita neurologica da parte dei ricercatori dell’Università di Pavia ai quali feci la domanda fatidica, ma questa malattia è ereditaria? La risposta fu negativa e comunque loro stavano facendo delle ricerche per stabilirne le cause”.

Il fisico peggiora, si affievolisce la volontà di combattere. L’inizio temporale della malattia? “Sinceramente non lo so, o meglio forse l’autunno del 2011 quando, tornando a casa la sera dal lavoro, mi sentivo sempre molto stanco ma non ho mai dato peso eccessivo a questo. Invece ad inizio gennaio 2012, nel corso di un Ecg da sforzo, durante la corsa, mi sono accorto che stranamente correvo male, cioè il piede sinistro non faceva il proprio mestiere. Lo stesso discorso una sera mentre tornavamo dal cinema. A questo punto mi decisi ad andare dal medico curante, il quale rescrivendomi una visita neurologica, ebbe subito il sospetto che si trattasse di una malattia del motoneurone. Dopo quindi innumerevoli visite, elettro miografie, tac, ricoveri ecc. il risultato fu purtroppo quello aspettato e cioè malattia del primo e secondo motoneurone. Cominciava quindi la mia sfida nei confronti della Sla, dovevo combattere sfruttando le mie conoscenze e soprattutto con l’aiuto di internet data la mia poca fiducia nei confronti della classe medica. Purtroppo però mano a mano che il fisico peggiorava si affievoliva anche la volontà di combattere contro la Sla. Perché? Il motivo è molto semplice. Quando vedi che dopo medicine, integratori e vitamine varie, fisioterapia ecc. che il tuo corpo non solo non migliora, né si stabilizza ma addirittura peggiora, beh questo è sconfortante se non di peggio. Come ho già detto l’inizio è stato con il piede sinistro, poi gamba sinistra, poi piede destro, gamba destra, poi mani poi braccia, tronco ed infine la cosa forse peggiore di tutto: l’autonomia respiratoria. Nel frattempo ancora cercavo di andare avanti, a tutti i costi di andare al lavoro. La mia azienda, Wind, mi ha sempre aiutato ad esempio con la macchina con il cambio automatico, così come tutti i miei colleghi. Quando non ce la facevo più a guidare mi venivano sempre a prendere a casa, veramente, più che colleghi, amici che fanno parte di una grande famiglia allargata. E se parlo di famiglia non posso non parlare della mia. Soprattutto perché siamo riusciti a mantenerla unita, nella buona e nella cattiva sorte, come dice la promessa che ci facemmo io e Daniela, non è stato facile starmi vicino, anche se io ho sempre cercato di non far pesare a nessuno la mia situazione evitando il più possibile crisi depressive e di sconforto. Con Daniela abbiamo fatto tutto insieme, abbiamo deciso insieme e siamo anche caduti insieme. E siamo insieme anche ora che mi sono trasferito nella Comunità di Capodarco, lei era contraria ma ha rispettato la mia scelta ed io non sono pentito”.

I momenti più difficili e poi la Tracheo. “Il momento più difficile è legato ad una data. Di quello che successe il 27 ottobre 2014 ho solo dei ricordi confusi in quanto ebbi una crisi respiratoria con i polmoni pieni di catarro e quel senso di soffocamento che sinceramente non auguro a nessuno. Ricordo mia moglie che mi teneva la mano, ricordo il dolore fortissimo quando, non riuscendo a trovare le vene femorali, mi hanno tagliato con le forbici, e poi ricordo che mi dicevano dell’intubazione e poi della Tracheo. Credo che in quelle condizioni nessuno l’avrebbe rifiutata. Poi ricordo pochissimo della rianimazione dell’ospedale di Camerino mentre di quella di Fermo ricordo soprattutto degli incubi talmente realistici da non poterli mai dimenticare. Poi sono stato trasferito al reparto neurologia dove mi hanno messo anche la PEG (gastrostomia endoscopica percutanea ndr) sullo stomaco. Per il resto i giorni in ospedale trascorrevano lunghissimi con l’unico conforto della mia famiglia. Quando sono tornato a casa mi sono trovato con la tracheo, paralizzato dal collo in giù, senza poter parlare né mangiare, in un ambiente che non era la mia casa ma un appartamento vicino in quanto dovevo convivere notte e giorno con la badante, in parole povere con il morale sotto i piedi e il desiderio di farla finita. A tutto questo si aggiungeva il valzer delle badanti che arrivavano e poi andavano via creando ulteriore instabilità a me e Daniela. Possiamo chiamarla tristezza, depressione era questo il sentimento che provavo. Un altro momento difficile è stato relativo all’avviso di scadenza del contratto di affitto dell’appartamento dove abitavo insieme alla badante e dell’annuncio del suo ritorno nel paese di origine. È veramente una grande umiliazione subire da parte i ricatti ed i litigi di persone terze che approfittano del tuo stato solo per soldi. Ognuno di noi ha una dignità e amor proprio che non devono mai lasciarci, nemmeno con la più crudele delle malattie. Oltretutto arriva sempre il momento in cui la routine quotidiana diventa stancante e si cerca di avere un cambiamento, seppure con le limitazioni del caso”.

Era un’altra vita “ma che comunque valeva la pena di essere vissuta”. “Di momenti difficili ce ne sono stati tanti e non posso dire di averli risolti, ho solo cercato di non piangermi addosso per non aggravare ancora di più la mia condizione e quella della mia famiglia. Infatti un giorno mi sono chiesto: forse lamentarsi risolve qualcosa della mia situazione? Perché devo far soffrire anche chi mi sta vicino? Perché ho smesso di combattere? Sono stato sempre una roccia, per quale motivo non devo esserlo ancora? Quindi la prima cosa che ho fatto è stata quella di ricominciare a mangiare normalmente, all’inizio gelato e yogurt, poi pappe e così via. Non è semplice per un tracheostomizzato ma ci sono riuscito. E cosa c’è di meglio di un buon bicchiere di vino per tirare su il morale? Poi ho chiesto alla mia famiglia di tirare via la tristezza e sostituirla con la quotidianità della vita, perché nonostante tutto la vita continua e così ho fatto con i colleghi – amici che mi venivano sempre a trovare. Alla base di questo non c’era solo un effimero ottimismo ma la convinzione che questa era un’altra vita, sicuramente meno varia e divertente ma che comunque valeva la pena di essere vissuta. Il momento della voglia di cambiamento e della volontà di non essere di peso per nessuno, l’ho affrontato all’inizio di questo anno ho chiesto informazioni al dottor Patrizio Cardinali, dato che avevo dei rumors che la comunità di Capodarco si sarebbe attrezzata per accogliere i malati di Sla. Mia moglie chiaramente non era felice di questo, ma ero estremamente determinato. Non è stato semplice, perché tempo, burocrazia e intoppi vari sembrano sempre remare contro. Ma alla fine ci sono riuscito e spero che tutto ciò possa essere da viatico perché altri come me malati di Sla, possano usufruire di una scelta, che costituisce anche e soprattutto un aiuto per le famiglie. Qui ho trovato un ambiente familiare e professionale che, dopo i primi giorni di conoscenza, mi ha consentito un facile inserimento nella comunità. Un luogo a me quasi sconosciuto, ma popolato da tante belle persone, più che disabili”.

Affrontare le avversità e “uscirne rinforzato o perfino trasformato”. “Il messaggio che voglio dare a tutti voi, si riassume in una antica massima di Confucio: Se c’è rimedio perché ti lamenti? Se non c’è rimedio perché ti lamenti? Questo non vuol essere un semplice messaggio motivazionale, ma è stata da sempre la mia filosofia di vita. Anche nella mia vita precedente ero così e con la malattia ho cercato di seguirla meglio, perché credo fermamente che in questo modo si possa vivere al meglio ed anche gli altri che ti sono vicino. C’è un altro aspetto fondamentale che mi ha aiutato nel corso di
questi anni: la resilienza. Una parola forse molto inflazionata di questi tempi. Vuol dire la capacità umana di affrontare le avversità della vita, superarle e uscirne rinforzato o perfino trasformato. La resilienza è la possibilità di reagire positivamente alle difficoltà sapendo utilizzare la propria forza interiore e l’esperienza generata da situazioni ostili, per costruire il futuro e proteggere la propria integrità sotto l’azione di forti pressioni. Quella che ho dato è una spiegazione molto tecnicista, ma per me ha voluto dire semplicemente che, dopo la prima fase di battaglia e non accettazione, mi sono adattato. Che non vuol dire arrendersi, questo mai, ma cercare di vivere al meglio. Concludo con la citazione di un proverbio arabo: Non arrenderti mai! Rischieresti di farlo un’ora prima del miracolo. Grazie a tutti”